«Il fronte dei vecchi sbaraglia l’esercito degli inutili». Pietrangelo Buttafuoco, scrittore e giornalista cresciuto nel Movimento Sociale Italiano ora firma de Il Fatto Quotidiano e commentatore di Mix24, sintetizza con questa battuta i due giorni di passione della Fondazione An tra litigi, mozioni presentate e ritirate, contestazioni dei camerati di Via Ottaviano, richiamo agli affetti o agli immobili, fino alla conta finale.
Buttafuoco, immaginava un esito diverso per l’assemblea della Fondazione An?
«Ha prevalso l’asse tra Altero Matteoli, Maurizio Gasparri e Ignazio La Russa sull’alleanza effimera dei rifondatori. Non poteva andare diversamente».
Aveva dei sentori?
«Ormai quando c’è Gianfranco Fini di mezzo, in questo caso da convitato di pietra a sostegno della mozione dei quarantenni e di Gianni Alemanno, il risultato è sicuro: tranvata».
Il simbolo della Fiamma resterà a Fratelli d’Italia.
«È una decisione che mi addolora. Mi dispiace che FdI usi la “Fiamma tricolore”. È un reiterare la nostalgia in un ambiente che non ha nulla a che fare con quello che fu il Msi: una vicenda così nobile e bella non si può ripetere in questa versione grottesca di destra populista».
Ne fa una questione romantica?
«No. C’è, in questo declino, qualcosa di caricaturale e triste. Non ne faccio una querelle sentimentale. Il ’900 è finito, la storia è alle spalle, si è concluso il fascismo e archiviato il postfascismo. Perché allora usare la fiamma e vederla barattata con l’ultima banalità pronunciata da Giulio Terzi di Sant’Agata, che non è certo Filippo Anfuso…».
All’ingresso del Midas c’è stata la protesta dei ragazzi della sezione Prati, mentre in sala il clima si è surriscaldato per l’intervento di La Russa.
«I congressi del Msi erano confronti autentici. Ed erano caratterizzati da risse degne degli albi di Asterix. Volavano i tavoli, le panche, le sedie… E su tutto assisteva serafico, non a caso, Filippo Anfuso, che commentava così: “Che bellezza, non hanno niente da spartirsi e si spartiscono le legnate”».
Qui su cosa si dividevano?
«Adesso c’è un gruzzolo importante, strumentalizzato da un gruppetto di furbi nel tentativo di far valere il peso del “tesoretto” nelle trattative di domani, quando ci saranno le elezioni, per farsene forti e contrattare i posti in lista».
Quanta politica c’era nelle mozioni discusse a Roma?
«Le mozioni una volta avevano la profondità propria dei partiti novecenteschi, che si confrontano con i giganti del pensiero politico e la tragicità dell’epoca. Ora tutto è finito. Prima al Parlamento Europeo capitava di osservare un dialogo tra Franco Petronio e Leonardo Sciascia. A Montecitorio Beppe Niccolai che si confrontava con Pietro Ingrao…».
Se An è evaporata nel Pdl e poi divisa in mille rivoli, la tradizione politica della destra conserva un popolo di riferimento?
«Credo che ci sia da chiudere definitivamente i conti, e quando dico conti parlo anche di contabilità, con tre milioni di italiani che avevano identificato nella Fiamma tricolore un approdo a cui fare riferimento. E non ci stancheremo mai di ricordare che quel patrimonio immobiliare del Msi – non certo di An – ebbe a formarsi quando attraverso una mobilitazione in tutta Italia, i disoccupati, i poveri, i senza casa, il popolo che seguiva Giorgio Almirante, pur non avendo a disposizione né un posto fisso, né ricchezze, né proprietà, si privava delle cinquanta, cento e duecento lire per far sì che “il partito” potesse avere sedi per la politica, dal momento che nessuno voleva darle in affitto ai fascisti. Questi italiani hanno vissuto un sentimento profondo e non possono vederlo disperso prima nella vicenda di Montecarlo, oggi nel “tesoretto”. Per questo ho chiesto di iscrivermi alla Fondazione, voglio fare i conti con questa storia».
In queste giornate sono tornati alla ribalta gli ex colonnelli di An.
«Non entro nel merito. Sono però sicuro che nessuno di loro può presentare la propria faccia in una nuova stagione. Allontana la gente».
Rifondare sì, ma con volti nuovi?
«Tutto nasce da un equivoco: lo spazio a destra per una riaffermazione c’è, differenza delle reunion fallite di Dc o Psi. Gli italiani non di sinistra cercano un casa politica, e non possono certo offrirla gli ex colonnelli: sono eredi una catastrofe politico-culturale. Quando sono stati messi alla prova, hanno fallito. E poi non hanno il genio di Berlusconi».
Salvini è riuscito a resuscitare la Lega dopo gli scandali. Gli ex An potrebbero fare una operazione speculare?
«Il miracolo di Salvini, con il Carroccio messo peggio di An, non lo possono ripetere perché i postmissini sono intrappolati nel frazionismo e nella rissa continua. Fratelli d’Italia è strutturata come una immensa federazione romana gestita da gruppuscoli di quartiere. E poi la Lega aveva un blocco sociale nel territorio, militanza, sedi aperte».
Adesso tocca a Giorgia Meloni rilanciare la destra?
«Non so giudicare, è un argomento troppo difficile».
Per chi non vuole morire renziano, che futuro c’è?
«Il giochetto del premier di far credere a quelli di sinistra di essere l’unico vincente e a quelli di destra di non essere di sinistra è già stato scoperto e gli italiani non gli perdoneranno di aver umiliato in troppe occasioni la sovranità nazionale. Bisogna ripartire dal modello del 1994. A Matteo Salvini manca il Sud e poi ci vuole l’astuzia della storia, che capovolga la situazione. Il leader della Lega inevitabilmente eredita il ruolo di Umberto Bossi. Ci vuole un federatore delle istanze del Sud. Fratelli d’Italia è debole per questa impresa mentre la Meloni può svolgere un ruolo efficace solo su Roma. Nel Mezzogiorno ci vuole una personalità che catalizzi il blocco sociale di riferimento, i trenta-cinquantenni. Poi, come ha scritto anche Giampaolo Pansa su Libero , c’è un personaggio che potrebbe fare da collante per questa maggioranza: Alfio Marchini». (da Il Tempo)