Versicoli quasi ecologici
Non uccidete il mare,
la libellula, il vento.
Non soffocate il lamento
(il canto!) del lamantino.
Il galagone, il pino:
anche di questo è fatto
l’uomo. E chi per profitto vile
fulmina un pesce, un fiume,
non fatelo cavaliere
del lavoro. L’amore
finisce dove finisce l’erba
e l’acqua muore. Dove
sparendo la foresta
e l’aria verde, chi resta
sospira nel sempre più vasto
paese guasto: Come
potrebbe tornare a essere bella,
scomparso l’uomo, la terra.
(Giorgio Caproni, da RES AMISSA)
In questa lirica postuma di Giorgio Caproni (1912 – 1990), tratta dalla raccolta Res amissa (vale a dire, la cosa perduta), il poeta già ottantenne sembra suggerirci che tra le cose perdute, di cui sente terribilmente la mancanza, c’è senza dubbio quello stretto delicato rispettoso rapporto tra uomo e natura vivente che, tutto sommato, era presente ai tempi della sua giovinezza. Lo stravolgimento dell’equilibrio ecologico ci sta regalando un clima impazzito (con punte record di caldo e piogge alluvionali in questi giorni) e ricadute economiche, che se fanno lievitare il PIL (vero, signor Renzi?), non portano alcun benessere ai cittadini. Per Caproni la specie umana è la sola in grado di rendersi nociva a sé stessa e alle altre specie vegetali e animali. Belli e significativi i versi: L’amore
finisce dove finisce l’erba e l’acqua muore. Ci fanno pensare a quanto già aveva notato negli anni ’30, profeticamente, Pierre Drieu La Rochelle: “Quando l’uomo naturale non esiste più, presto si disgrega anche l’uomo sociale”. Di rilievo il monito finale del poeta: Come potrebbe tornare a essere bella, scomparso l’uomo, la terra. E’ vero. L’uomo può distruggere se stesso, ma, attenzione: la natura, per vivere, non ha bisogno dell’uomo.