Recentemente il presidente del Consiglio Renzi, ha posto il problema del pagamento delle tasse da parte delle grandi aziende del web, le quali al momento, riposizionando i server e fatturando all’estero riescono a risparmiare grandi somme dai prelievi fiscali. La proposta del governo si chiamerebbe Digital Tax, da non confondere con la pessima e per fortuna scartata Web Tax proposta da Boccia nel 2013.
Questo tipo di discussione è abbastanza datato, ma è giusto ribadire alcuni concetti, che nel mare magnum del web spesso vengono dimenticati dall’utente medio, che mentre con una mano ricerca su Google un prodotto da comprare su Amazon, con l’altra scrive commenti e stati di insulti alle major dell’informatica, cattive e turbo capitaliste.
In primo luogo, ciò che fanno queste aziende è pressoché legale, tanto che per metterle nel sacco fior di fiscalisti si impegnano da anni. Inoltre sarebbe il caso di chiedersi se un fisco da repubblica delle banane come quello italiano non sia la prima causa di evasione e fuga di chiunque possa farlo. Di solito una fuga avviene da una situazione di costrizione e il fisco italiano è piuttosto costrittivo e punitivo, oltre a non fare nulla per premiare chi produce ricchezza e crea posti di lavoro. Solo a Milano, per dirne una, Google dà lavoro a più di 100 persone e ogni mese, checché se ne dica, versa al fisco il corrispettivo delle tasse degli stipendi dei dipendenti. Stesso discorso può valere per Amazon (ma loro sono degli orribili schiavisti, penserà il tipico rivoluzionario da tastiera, mentre ordina le babbucce di Winnie The Pooh su… Amazon).
Di fatto quindi queste aziende producono ricchezza nel nostro paese anche senza bisogno di pagare tasse esorbitanti, ma il loro apporto non finisce qui. Prendendo sempre ad esempio Amazon o Ebay , possiamo ben dire che le loro reti di consegne, messe a disposizione di tutti, permettono di stare sul mercato a rivenditori e negozianti di tutto il Paese e in molti casi permettono ai produttori italiani di esportare al dettaglio senza grandi investimenti.
Anche i piccoli editori con Amazon riescono ad avere un risalto che altrimenti non avrebbero. Proprio in questi giorni va esaurito il romanzo di Angelo Mellone, “Nessuna croce Manca” (se vi capita compratelo), che con la vendita online è riuscito a conquistarsi una buona fetta di mercato. Perché aspettare due settimane dalla libreria quando si può avere un libro in due giorni?
Qualcuno tempo fa scrisse qui su Barbadillo, in un commento, che per colpa di Amazon ci rimettono i piccoli librai, quelli indipendenti, ma in realtà questi ultimi ci rimettono principalmente perché la gente non legge.
Altro esempio costruttivo è Google Ads che mette a disposizione una piattaforma pubblicitaria che permette al micro produttore di farsi conoscere in tutta Italia spendendo poche centinaia di euro, generando quindi possibilità imprenditoriali. Si tralasciano qui le descrizioni di servizi come Google Scholar, che permettono di accedere facilmente agli articoli scientifici e accademici di tutto il mondo, risorse indispensabili per tutti coloro che intraprendono uno studio decente di qualsiasi disciplina.
Nessuno sembrerebbe poter mettere in discussione queste attività imprenditoriali, eppure, mentre da un lato in tutti i programmi politici e nei propositi di intenti di ogni associazione professionale si parla delle grandissime opportunità di internet, dall’altro appena qualcuno usa queste opportunità si grida allo scandalo. Si lanciano accuse.
“Quelli di Google sono semi-monopolisti”, si legge in ogni dove. Certo che lo sono, ma si dimentica il dettaglio che ciò di cui sono semi monopolisti l’hanno inventato loro, perché sono stati più bravi, lungimiranti, hanno studiato, hanno messo in piedi laboratori di ricerca. Esattamente come Bill Gates fu il più bravo quando inventò Windows. Dovremmo vietare di inventare qualcosa di successo? Se mai si dovrebbe vietare di utilizzare per criticare i mezzi criticati. Se Facebook è così malvagio, basterebbe disiscriversi, al posto di scriverci che Facebook fa schifo. E’ un controsenso.
Un’altra accusa singolare urla che “queste società collaborano con i governi per spiare i cittadini”. Sarà anche vero, ma forse sarebbe meglio prendersela con i governi, visto che, fino a prova contraria, se un’azienda riceve una richiesta di dati anche sensibili da una qualsiasi forza dell’ordine è obbligata a fornirli.
Non sono invece per nulla obbligati a fornire alcun dato quegli italiani, secondo i dati più recenti sarebbero oltre un milione, che denunciano i propri vicini per evasioni fiscali di pochi euro. Non è molto coerente da parte di una massa di delatori, lamentarsi delle presunte delazioni altrui. Una grande fetta di popolazione purtroppo continua ad invidiare il prossimo e i successi altrui e vede come proprio nemico chiunque abbia una attività che funziona.
Il barista che dimentica lo scontrino merita quindi di chiudere per un anno e finire in prigione, la multinazionale del web merita di essere spremuta con web tax e digital tax varie.
Se il modello di crescita è questo, stiamo freschi.