Che Vladimir Putin si sia imposto sullo scacchiere internazionale come una guida politica di indiscutibile rilievo non sembra possa essere messo in dubbio, almeno a partire dalla pubblicazione sul noto quotidiano russo “Izvestija” nel gennaio 2012 del suo articolo, intitolato La Russia si prepara: le sfide che ci apprestiamo ad affrontare.
Già in precedenza, alla vigilia della campagna presidenziale del 2000, Putin aveva fatto ricorso alla diffusione a mezzo stampa di un articolo teorico intitolato: La Russia alla svolta del millennio, per spiegare la sua visione dell’idea russa, ma è soltanto nel Programma 2012-2018 che l’ideologia di Putin si definisce come volontà di costruire una Nazione russa potente, di far rivivere la “Velikaja Derzhava” (letteralmente in russo la “Grande Potenza”). Se, dunque, è vero che lo statista pietroburghese, ponendo al centro della strategia per lo sviluppo della civiltà russa la preservazione e l’innalzamento dei valori spirituali e culturali che costituiscono l’identità particolare della Russia, è riuscito a risvegliare l’orso ruteno dall’abissale letargo in cui lo avevano precipitato gli esiti della “Katastrojka” (tale è stata rinominata da Aleksandr Zinov’ev la politica gorbacioviana della Perestrojka); con le dichiarazioni riferite nel discorso che riportiamo, il leader politico va ampiamente oltre, assumendo un ruolo attivo di difesa, anche militare, di ogni Paese dell’Est e dell’Ovest europeo, che in una prospettiva eurasiatica integrata, si riconosca nei valori della cultura e della storia comuni alle civiltà cristiane; e che, in nome di questi valori, si opponga alle spinte egemoniche dell’asse Washington-Tel Aviv, per l’affermazione del Nuovo Ordine Mondiale.
I cardini del pensiero putiniano
I passaggi del discorso di Putin ruotano attorno a due aspetti centrali. In primo luogo vi è la denuncia – resa alla comunità internazionale in occasione del Forum sulla Russia Orientale, e nella quale lo statista tradisce quasi un umano disagio per la condizione di totale vassallaggio dei Paesi europei nei confronti della politica estera, da lui definita senza mezzi termini sbagliata, dell’America: “l’Europa va ciecamente a rimorchio”, afferma, “… per questo ora paga sul suo territorio le conseguenze di una dissennata ottemperanza ai cosiddetti impegni alleati”. Il giudizio politico di Putin è indirizzato a una Europa postmoderna che è diventata culturalmente antieuropea.
La seconda parte del discorso è costruita intorno al principio di matrice eurasiatista del radicamento identitario dei popoli e delle società, in opposizione all’astrazione nichilista del liberal-individualismo americano. Difatti, tra i concetti più importanti della teoria eurasiatista vi è quello della persona collettiva: la “persona sinfonica”, ovvero il popolo o un insieme di popoli, formante un tutto col suo ambiente fisico. Ragion per cui, quando Putin asserisce che per ripristinare la statualità e la sfera sociale nelle regioni controllate dall’Isis occorre partire dal rispetto per la storia, le tradizioni e la religione di questi popoli e Paesi; egli sta chiaramente chiedendo all’Europa di sfuggire all’abbraccio mortale del mondialismo unipolare americano, così da riconfigurare la propria modernità, riconnettendola alla Tradizione.
Il progetto eurasiatico costituisce indubbiamente una minaccia per il Nuovo Ordine Mondiale. Prova ne sia il recente, solo apparentemente insignificante, fatto di cronaca sportiva verificatosi durante la cerimonia di premiazione del Campionato Mondiale di Ginnastica Ritmica di Stoccarda, quando per ben due volte non è stato mandato l’inno russo durante la premiazione della stessa atleta! In definitiva, ripensando a questa burla dell’inno nazionale, verrebbe voglia di ricordare ai governanti tedeschi, che stanno sullo sfondo della vicenda, il severo monito dello “zar” Putin: “Le radici della Russia sono profonde e non gelano mai”.
*docente dell’Università di Roma Tor Vergata