“L’eco di uno sparo” è il bel libro di Massimo Zamboni compositore e chitarrista dei Cccp e Csi. Essere musicisti punk-comunisti, cantare ai concerti “Bella ciao” e poi scoprire tra i segreti di famiglia un nonno fascista ucciso dai partigiani: a volte la memoria restituisce pagine di verità seguendo percorsi inattesi.
“Il giorno 29 del mese di febbraio nell’anno bisestile 1944,… ammazzano un uomo di 49 anni. Gli sparano in tre; da dietro; in corsa. L’uomo cade dalla bicicletta…cade sorpreso e assieme fulminato. Mentre questo accade e la ruota posteriore della bicicletta caduta gira nell’aria, …io perdo mio nonno.” Con questa bella scrittura, secca e tagliente, Massimo Zamboni compositore e chitarrista di gruppi musicali politicizzati “punk-comunisti” come i Cccp poi Csi, dimostra di essere oltre che un apprezzato musicista anche un vero scrittore. Se Giovanni Lindo Ferretti, altro leader storico di queste band, ha abbandonato l’ateismo comunista (articolo uno: Dio non esiste) in favore di un cattolicesimo pio e tradizionale, Massimo Zamboni ha fatto questa rilettura critica fuori dai canoni dell’antifascismo di maniera. Perché nella vita può capitare di tutto, può capitare di scoprire tra i segreti più o meno inconfessabili di famiglia, un nonno materno fascista irriducibile e convinto. Talmente fascista che quando in famiglia, per comprensibili ragioni di prudenza, gli consigliano di non aderire alla Rsi lui risponde: “Sono sempre stato e sempre sarò fascista”.
Massimo è nato nel 1957, ben tredici anni dopo l’assassinio del nonno, avvenuto in un’imboscata partigiana. Un’imboscata a tradimento, non un atto di guerra: il nonno tornava a casa in campagna dal mercato. Questo nonno certamente fascista ma del quale in casa ha sempre sentito parlare in termini affettuosi. Il libro è un saggio che però si legge come un romanzo. Ogni capitolo è un racconto compiuto. Con una scrittura a tratti commossa, a tratti scintillante, sfilano e si sfiorano alterne vicende tra di loro in relazione. Lo scrittore è di Reggio Emilia, una delle capitali del comunismo italiano, nella quale la resistenza è stata elevata a mito fondante della comunità, una sorta di religione civile. Una religione che anche Massimo ha nella carne e nel sangue. Ecco quindi la storia dei sette fratelli Cervi, poi assunti a simbolo ed icona del movimento partigiano con il loro padre Alcide sopravvissuto al massacro e che nel dopoguerra porterà scolpito in volto l’immenso dolore di cui fu vittima. Ma anche la singolare vicenda dei partigiani che assassinarono il nonno. Uno di loro diventerà un dirigente cooperativo e un mito del Pci locale; desterà scalpore e incredulo dolore quando verrà assassinato da un suo compagno partigiano che era stato emarginato.
Sono le storie degli uomini in tutti i tempi. Gelosie, invidie, rancori. Ferocia, crudeltà, generosità ed eroismo. Questo volume, che merita il prestigio letterario del marchio Einaudi, è un modo insolito e diverso per rileggere la guerra civile che ha attraversato l’Italia in quegli anni ormai lontani ma dai quali non si riesce mai a staccarsi completamente. Poche settimane dopo la morte del nonno di Zamboni giunse in città Pino Romualdi per organizzare il trasferimento dei militi repubblicani reggiani nel ridotto armato della Valtellina. Ma tutto era perduto e molti non si salvarono, in tanti casi non ebbero nemmeno la dignità di un fiore e di una tomba. Questo libro, a modo suo, rende giustizia anche a chi ha creduto ubbidito e combattuto fino alla fine.
*L’eco di uno sparo, di Massimo Zamboni, pp.194, euro 18,50, Einaudi