Se c’è tra le numerose novità editoriali una che non dovrebbe assolutamente mancare nella libreria d’un appassionato del genere fantasy, questa è Ricordi di un Hobbit di Gianfranco de Turris e Sebastiano Fusco libro edito da Tabula fati. Si tratta d’un testo drammaturgico – già rappresentato in teatro – con presentazione di Quirino Principe (colui che portò nel 1970, con Alfredo Cattabiani e Elémire Zolla, l’opera di Tolkien nel nostro Paese), e postfazione di Stefano Giuliano (altro noto esperto in materia). Una pièce di notevole spessore letterario a firma di due trai massimi conoscitori dell’universo fantastico del grande narratore britannico.
Sono trascorsi quindici anni dalla partenza di Frodo e Gandalf dai Porti Grigi, salpati sulle navi degli Elfi verso il Vero Occidente. Un ciclo si chiude, ma sarà ancora lunga l’attesa prima che se ne apra un altro. Sam Gangee è sindaco di Hobbiville e la figlia adolescente Elanor gli pone domande come spesso si fa agli anziani per scoprire la loro giovinezza, il mondo che hanno conosciuto, le avventure che hanno vissuto, tutte cose di cui non amano parlare. I figli non vanno delusi e Sam risponde ripercorrendo con l’emozione più che con la ragione i pericoli che ha corso, i mostri che ha incontrato, le meraviglie che ha visto, le sofferenze che ha patito. È con un pianto, più che con un grido, che volge al termine l’Età di Mezzo. Il mondo si trasforma: ma i fiori sono sempre gli stessi, sempre la stessa è la voce del vento nella foresta, le stelle brillano sempre nel cielo come gemme d’argento. Si chiude la Terza Era, declinano gli dèi e gli eroi, e sorge l’uomo, solo con la nuda spada nel suo pugno.
Sono numerosi i libri ispirati al ciclo de Il Signore degli Anelli, uno dei maggiori del secolo scorso che ha lasciato una traccia indelebile nella letteratura fantastica internazionale. Un’impronta che ha interessato anche la “settima arte”, visto che dalle pagine immaginifiche della poderosa opera tolkieniana sono state effettuate delle trasposizioni cinematografiche di grande successo sia di pubblico che di critica. Tuttavia nel quadro assai ampio e variegato dei lavori ispirati all’universo creato da questo padre nobile del fantasy, ci si imbatte talora in lavori davvero originali e d’elevato valore letterario. E’ il caso de Ricordi di un Hobbit, testo teatrale scritto da due fra i maggiori esperti di letteratura dell’immaginario, nonché profondi conoscitori dell’opera del professore di Oxford: Gianfranco de Turris e Sebastiano Fusco. Un’opera drammaturgica, dunque, che è stata già rappresentata in teatro con lusinghiero successo, riscotendo critiche ampiamente positive. Ma com’è, a uno sguardo più attento, questo Ricordi di un Hobbit, e in che modo e misura si ricollega al cosmo narrativo de Il Signore degli Anelli e de Lo Hobbit? Come noto Tolkien, professore di filologia e grande esperto di lingua e letteratura inglese, volle attraverso la sua vasta produzione, edificare un mondo immaginario, la Terra di Mezzo, in cui ambientare le sue storie fantastiche.
Un luogo remoto nello spazio e nel tempo, una sorta d’altrove mitologico popolato da creature leggendarie: gli hobbit, i nani, gli elfi e tutti gli altri esseri del suo grande ciclo narrativo.
Ora l’opera dei due autori romani s’inserisce a pieno titolo nell’ortodossia tolkieniana, senza però mancare d’una decisa connotazione d’originalità. Infatti il testo non si limita a ricreare le suggestioni e le atmosfere delle opere da cui prende il suo principale motivo ispiratore, ma le sviluppa in un’ottica in divenire. Si tratta perciò d’una naturale prosecuzione cronologica dei fatti e delle vicende che vi si narrano: un possibile e verosimile – per quanto possa esserlo un’opera di fantasia – sequel. Un obiettivo ambizioso, pieno di insidie al pari della via per Mordor , quello che si sono dati i due autori: un obiettivo che però, al netto del valore artistico ed estetico del libro, sembrano aver conseguito con pieno successo.
Tanto più che come dicevamo, la sfida affrontata non era delle più semplici. Il cosmo narrativo di riferimento è infatti assai complesso, e il livello della sua scrittura raggiunge vette olimpiche. Tuttavia de Turris e Fusco, forti d’un antico sodalizio professionale, e dotati di penne talentuose e sensibilità liriche di tutto rispetto, oltreché d’una conoscenza a tutta prova dell’opera dello scrittore britannico, si sono dimostrati capaci d’una performance letteraria d’alto profilo e hanno affrontato, come già detto, il compito, quanto mai spinoso, di scrivere un’opera ispirata ad un’altra (di statura assoluta) senza deludere le attese e mantenendo un’identità precisa all’interno d’un canone, quello di riferimento, trai più rigorosi, e quindi difficile da osservare senza incorrere nel rischio di scadere nel grottesco o peggio nel Kitsch. Inoltre il fatto che l’opera in questione sia di tipo teatrale non deve in alcun modo stupire, poiché Tolkien nei suoi scritti ha fatto spesso ricorso, in modo ricercato e suggestivo, al soggetto lirico. Ne sono chiarissimi esempi: Il canto dell’Anello e Aiuto Bombadil! (La compagnia dell’Anello), Il Canto della marcia degli Ent e Il canto di Durin (Le due Torri), La carica degli Oerlingas (Il ritorno del Re) ecc. Così de Turris e Fusco, guardando con occhi attenti all’edificio tolkieniano, hanno costruito con scienza e sapienza, un dramma dall’incedere potente, intessuto con abile intreccio narrativo in cui s’alternano, in un continuo gioco di prospettive, i vari personaggi. Una drammaturgia poetica, per dirla con Quirino Principe (cui si deve l’ottima presentazione al testo), dal timbro epico, che echeggia il clangore dell’acciaio e il rombo del tuono, che si fa sublime affresco narrativo della selvaggia Terra di Mezzo, e che scuote l’animo del lettore coi suoi cori possenti intrisi d’un vitalismo primigenio.
Uno scritto potente, dicevamo, un dramma che si sviluppa vigoroso dalle memorie dell’ormai anziano ma non domo Sam Gamgee. Un libro denso e coerente con un grande retaggio letterario, che riporta in vita, come ad opera d’un antico sortilegio, i personaggi dell’epica di Tolkien: Frodo, Sam, Gandalf, Aragorn, Elanor Gamgee. Una narrazione che si fa poesia, musica di parole, inno e suprema liturgia della Terra di Mezzo. Ma la grande ruota continua a girare, e su tutto grava melanconica l’ombra della rimembranza, mentre la notte s’avvicina colle sue avanguardie oscure. Il giorno muore in un estremo fulgore sanguigno e con esso la favolosa Terza Era.
*Ricordi di Un Hobbit di Gianfranco de Turris e Sebastiano Fusco (Pp. 56 + 8 ill, Tabula fati; copertina di Dalmazio Frau)