Giurin giurello, se siamo tutti più buoni il campionato sarà finalmente bello. La Serie B ha deciso di (ri)vestire l’abito della bontà per ridarsi un tono, dopo quer pasticciaccio brutto di Catania. E prima di scendere in campo dove tutti ambiranno a fare la spia e a rompere il gioco (e non solo) ai compagni per farsi sventolare sotto il naso l’ambito cartellino verde, i calciatori, allenatori, presidenti devono giurare recitando il testicello da letterina a Babbo Natale ma che valore ha il solennissimo Giuramento di Fedeltà e Rispetto (maiuscole d’obbligo, che vi ricorda?).
Diciamo subito che questo giuramento è come la corazzata Potemkin secondo la celebre descrizione dell’hadith del mitico Fantozzi, ragionier Ugo. Però le cose vanno spiegate, facile incazzarsi perchè ai calciatori bastano quattro paroline a favor di telecamera mentre tu, che non hai mai dato fastidio a nessuno in vita tua, devi subire un paio di perquisizioni al tornello. Tanto – dicono – se non hai niente da nascondere, che te ne frega? Ecco, proprio perchè non sono nè uno sbandato nè un delinquente e da nascondere tengo solo un po’ di pancia che mi incazzo se mi devono mettere le mani tra borse e tasconi. Vabbè, questa è un’altra storia. Torniamo al giuramento, tanto lui – da qualche anno – ritorna puntualmente sui campi della B.
“Con la mano sul cuore e la mente trasparente, a nome della società e della squadra che rappresentiamo, giuriamo di osservare le norme e le regole del calcio con correttezza e purezza d’animo, seguendo i valori dello sport, dell’etica e del fair play.
Di fronte a voi, ci impegniamo a scendere in campo per conquistare la vittoria, rispettando l’avversario e il suo valore, il corpo arbitrale e le sue decisioni, accettando comunque il verdetto sportivo con dignità e onore.
Con questo solenne giuramento rinnoviamo il patto di lealtà e rispetto nei confronti dei nostri tifosi, della nostra maglia, della storia del nostro Club e del suo futuri che deve essere garantito anche contrastando ogni tipo di gesto e atto antisportivo, illecito o non rispettoso delle norme.
Consapevoli che il nostro comportamento sarà di esempio per tutti coloro, a partire dai bambini, che guardano a questo sport con amore e ammirazione, giuriamo di non tradire le loro aspettative, perché possano vivere le emozioni del calcio con spensieratezza”.
Primo. Un giuramento crea un vincolo perchè viene pronunciato invocando a testimone una comunità. Qual è la comunità del pallone? Boh. I tifosi, televisivi e da stadio, indistintamente intesi. Tutti e nessuno. E poi ci sono loro, i marmocchi. “Nessuno pensa ai bambini?!?”, la domanda ricorrente e snervante della bigotta moglie del reverendo Lovejoy dei Simpsons ha finalmente avuto una risposta. Ci pensa la Lega Serie B.
Secondo. Un giuramento crea un vincolo perchè presuppone delle sanzioni in caso di violazione di ogni singolo obbligo che ci si assume. Chi viola il giuramento a che andrà incontro? E non venite a dire che se la deve vedere poi con la giustizia sportiva perchè è la stessa che ha condannato Catania e Teramo alla stessa pena, nonostante posizioni e responsabilità differenti e ancora da accertare.
Terzo. Il giuramento è inutile, superfluo e perciò irritante. Perchè un vincolo, ogni calciatore, lo crea già indossando una maglia. A patto, però, di considerare il calcio ancora uno sport e non un affare multimilionario che per funzionare deve richiamare continuamente i suoi protagonisti all’ordine.
Fosse solo la solenne dichiarazione di non fare arrabbiare la maestra e non far piangere Gesù, passi. Cinque minuti di sciocchezza si possono sopportare, come i due minuti di controlli all’entrata. No, il parrucconesimo virale che affligge il pallone s’è inventato pure il cartellino verde, che è cosa veramente folle.
Il semaforo del calcio nel taschino del signor arbitro è, come giustamente faceva notare il Foglio, il trionfo della norma che ormai perde il suo carattere di imposizione positiva per assurgere a vero e proprio dogma in quanto se stessa. È legge? E quindi è santa, intoccabile, indiscutibile. Il corollario del cartellino verde è da schiaffi. O meglio, quanti schiaffi avrebbe preso all’oratorio, in strada, nel parco, tra le macchine chi – secondo la dettagliatamente vaga casistica accennata in questi convulsi giorni di bontà obbligatoria – avrebbe buttato fuori il pallone perchè l’impostatore avversario si atteggiava a ferito grave imitando l’Inzaghi dei tempi belli o avrebbe ammesso – sacrilegio! – che gol non era perchè la palla (con la traversa stipulata, pattiziamente, a seconda delle capacità altezza-braccia del portiere di turno) era andata troppo in sù? Tanti, ma tanti. Però, allora che si poteva, non avrebbe preso il Daspo nè si sarebbe meritato articolesse di disappunto. Purtroppo oggi è così: da quando calimeri, pupari, vecchie spugne e lupi grigi del calcio si sono messi in testa di avere la missione civilizzatrice del volgo pallonaro, non abbiamo più pace.