“Ci si sponza fino all’alba tra musica e cucina”. La locandina del Corriere dell’Irpinia è una specie di proclama appeso ai muri di Calitri. Non ammette repliche. E, a differenza di tante locandine strillate, fotografa perfettamente la realtà. A Calitri per lo Sponz Fest ci si sponza dalla sera al mattino. Non c’è dubbio. Dall’inizio fino (quasi) alla fine della trasferta irpina è proprio così, in un collinoso Texas italico, arioso come piace alle pale eoliche e ai siensi perduti, addobbato da paesi anni Cinquanta con le luminarie delle feste patronali che si accendono sulle rovine franose del terremoto e sui volti gioiosi di gente verace.
Gente che vive nei sogni e anche dei sogni di Vinicio Capossela, creatore e conduttore del festival da lui medesimo governato, a cavallo di una trebbiatrice volante.
Tante cose tutte insieme, insomma, che ti sponzano, ti impregnano, ti ubriacano, ti fanno muovere i piedi per conto loro, ti fanno ragliare alla luna e che – alla fine (o quasi)- ti fanno pure dimenticare un insensato ufficio stampa ostile a Barbadillo (chissà perché?) e una notte da tregenda nelle lande deserte intorno al lago di Conza.
Calitri è un presepe. Calitri è fatto a gradoni. Te lo dicono tutti qui. E così, da via Sottoconcezione, sali, naturalmente, alla chiesa dell’Immacolata Concezione. Dove lo Sponz di Vinicio organizza una delle feste paesane della settimana festivaliera. Mentre ti rifornisci di ziti al ragù e di brasciuole, ti urta un barbone, i pantaloni legati con lo spago, dal quale istintivamente proteggi i tuoi piatti. Casomai volesse allungare una mano. Poi lo senti parlare in greco e lo scopri essere una delle star della serata, il maestro Antonis Xylouris, in arte Psarantonis, che sta alla lira (non la nostra cara vecchia liretta, ma lo strumento tradizionale), più o meno come il bretone Alan Stivell sta all’arpa celtica. E’ amico e mentore di Capossela. E la sua presenza in questo borgo sperduto e affascinante dell’Alta Irpinia svela una parte del gioco culturale del cantautore nato ad Hannover da genitori calitrani e cairanesi, recente autore de “Il Paese dei Coppoloni”, prodotto Feltrinelli candidato allo Strega, racconto epico alla ricerca dell’Itaca irpina, dei siensi perduti e omaggio alle radici profonde che non solo non gelano, ma – auspicabilmente – continuano a fruttificare.
In buona sostanza per i suoi 25 anni di musica, per le sue nozze d’argento d’arte, Vinicio ha radunato qui tutte le sue fonti d’ispirazione e, come un emigrato che torna al paese d’origine con il piacere di mostrare cos’è diventato al termine del suo lungo viaggio, le mette sul palco con l’intento di ricucire i sogni del prima e del dopo, facendo danzare e sponzare insieme paesani e fans.
Così, oltre all’arzillo Psarantonis, ci sono i Mariachi Mezcal, Los Texmaniacs, le irresistibili fanfare balcaniche di Tirana e di Macedonia e perfino Cicc’ Bennet, cantante-gladiatore e mattatore della locale sala veglioni, riaperta per l’occasione…
Obiettivo dichiarato: far festa. Entrare antropologicamente nel tempo della festa. Quella dionisiaca, in cui la musica balcanica si trasforma in musica baccanica.
La festa: fondatrice della comunità, rigeneratrice dell’io. La festa che – come sapevano bene gli Antichi – uccide e ricrea. Ci si sfinisce, si sovverte l’ordine delle normali e disperate vite quotidiane, per rinascere a nuove speranze. Un reset collettivo, una rifondazione nella gioia, totale, che non è così lontana dalla cupa sensazione, altrettanto estrema, della caducità dell’esistenza.
In più tutto questo Capossela pretende di farlo nel solco della tradizione delle feste nuziali del Sud, dei Balcani, del Mediterraneo. A Calitri ha fatto allestire la casa dell’Eco dove c’era la casa dell’Eca (intesa come ente comunale di assistenza). Prima era la sala prestata alle feste dei matrimoni, ora ci si avverte l’eco delle antiche usanze. Quelle nuove, di tradizioni, sono appena lì fuori. Con una straordinaria pista da ballo di legno allestita sulla piazza antistante e sormontata da fili elettrici e lampadine: atmosfere da fiesta sull’aia.
E anche qui tutto si sponza. La festa mette insieme i coppoloni e i forestieri, anche se non c’è alcun matrimonio reale da celebrare. Ma l’anima del luogo vince e avvince, avvolge tutti, come la corda che i calitrani arrotolavano sugli sposi danzanti, come la brasciuole, l’involtino, la carne arrotolata che – non a caso – è il piatto tipico dei matrimoni irpini.
E così, come tante brasciuole, indigeni e strangers zompano e saltellano, quadrigliano e foxtrottano sui ritmi travolgenti della Banda della Posta (ovvero la band del paese) o dei Mariachi, quasi a formare una nuova comunità, la comunità dello Sponz, sulla quale a regnare è sempre il genius loci.
Questa è la festa più verace dello Sponz di Vinicio Capossela e dei suoi paesani coppoloni. Ed è già un esperimento complesso. Quando però il buon Vinicio prova ad andare oltre, si sfiora il disastro. Non solo culturale.
Per il concerto finale ha scelto la stazione “sospesa” di Conza-Cairano-Andretta, un luogo abbandonato nel nulla, sotto la zanna montuosa del paese dei Coppoloni. Plenilunio al 100%, assicura il programma. Caos al 200% scopriamo. Perché al concertone che dura dalle 22 alle 5 di mattina, ampiamente pubblicizzato dalla stampa nazionale e tiggiunizzato perfino dall’immancabilmente positivo servizio di Vincenzo Mollica, si presentano più di cinquemila persone. Non ci sono indicazioni lungo le buie e dissestate strade dell’altopiano del Formicoso e centinaia di auto vagano alla ricerca della festa, salvo scoprire – una volta giunti – che festa non sarà: chiusi nella stazione sospesa nel nulla, accalcati sui binari, tra ciottoli e traversine, praticamente senza cibo, birra e bevande, s’ammoscia l’ultimo sponzalizio. Il più atteso. Peccato. Nonostante la luna e Cairano che vegliano dall’alto, la magia non si ricrea e le divinità dionisiache della gioia, per dispetto, tolgono pure un po’ di voce a Capossela. Forse perché le comunità vecchie e nuove per trovarsi e per far festa hanno bisogno di luoghi, come le piazze dei paesi dell’Irpinia e non di non-luoghi come le stazioni abbandonate.
Pazienza, per fortuna nessuno si è fatto male. Tutti sono sopravvissuti e sono pronti per nuovi sponzamenti. Perché comunque riuscire a far festa unendo passato, presente e futuro non è per niente facile, oggi. Onore a chi ci prova e riesce a farti scoprire l’Irpinia, i ragli di luna e i sogni delle trebbiatrici volanti.