Anche mezz’ora per un chilometro. Pieno centro. Sono strade a otto corsie, quattro per ogni direzione, ma il traffico di Mosca non consente di procedere spediti. Tutta quella lamiera, di cui nessuna di utilitaria, improvvisamente sparisce.
Nel volgere di pochi minuti si spalanca il deserto e da ogni parte – dalle cupole a cipolla delle chiese come dalle torri del Cremlino – risuonano le campane e i carillon: tutta una festa ad accompagnare il passaggio lento e solenne di una limousine blindata che dalla Tretyakov si destina alla basilica di Cristo Salvatore. I pedoni, affollati sui larghi marciapiedi, sono in ginocchio. Molti scattano foto con gli smartphone e non mancano però di segnarsi nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.
Una scena simile, nello stesso momento, sta accadendo a Baku, in Azerbaijan: passa Ilham Aliyev, il presidente azero e però, con le macchine, devono sparire anche i pedoni. Qualcuno si trova sul terrazzo del Museo Nazionale e deve abbassarsi sotto il livello della balaustra. I cecchini, sorvolando con gli elicotteri, intimano a tutti i bipedi di non farsi vedere. Ancora una limousine – e però scortata da un codazzo di grugni – avanza. E va veloce. In un istante Baku si ripopola. Chissà dove se ne va il signor presidente. Si nota la chioma di Mehriban Arif qizi Aliyeva, la signora presidenta, molto glamour.
Forse più di mezz’ora per un chilometro. Una fiumana di moscoviti attende sul sagrato della basilica ma l’automobile di cui è distinguibile, nello scampanio, il trattenuto ruggito della benzina Lukoil accoglie gli inchini e i baci e davvero si fa fatica a distinguere, in tema di Asia, tra i titoli dei giornali di oggi e quelli dell’800.
A Baku se ne va a spasso un autocrate che sa far sfoggio di sé, a Mosca – la terza Roma, “non ci sarà mai la quarta!” dicono – è la sacrissima icona della Madre della Tenerezza che sta attraversando la città di tutte le Russie.
Le campane fanno festa e per i credenti è un privilegio lasciarsi attraversare dallo sguardo di Colei che è archetipo di tutte le icone sante. Fu Luca, l’evangelista, a realizzarne il ritratto contemplando direttamente la Vergine, Madre di Gesù. San Luca dipinse questa tavola ancor prima che Maria si avviasse alla Dormizione, ciò che per gli occidentali è l’Assunzione ma che per i cristiani ortodossi e per gli islamici è un’esistenza vigile in questo come nell’altro mondo e per ben due volte, nella storia, Mosca s’è salvata grazie a questa icona.
Tamerlano è giunto alle porte della città. Ha già messo a ferro e a fuoco il principato e l’intero territorio dell’Anello d’Oro. E’ pronto a impossessarsi di Mosca ma questa città – la “seconda Gerusalemme” per i cristiani, “seconda AlQuds” per i musulmani – si salva con questa icona alzata in ostensione, come a far da scudo agli attendamenti degli invasori. Tamerlano, la stessa notte in cui gusta la vittoria, riceve in sogno Miriam Ibn Isa, ovvero Maria madre di Gesù, la donna indicata quale prescelta dal Corano e da lei riceve l’ordine di non procedere oltre. L’invincibile Tamerlano si sveglia e comanda ai suoi, ormai pronti a far bottino della preziosa città, di tornare indietro.
La seconda volta accade – il nemico è alle porte – nella Seconda Guerra Mondiale. L’esercito tedesco è a soli venti chilometri dal centro di Mosca. La partita, nello scacchiere del Grande Gioco, è a favore di Adolfo Hitler. La popolazione è ridotta alla fame, atterrita e però decisa a combattere. Giuseppe Stalin convoca i metropoliti della Chiesa ortodossa e si fa consegnare l’icona. L’affida all’equipaggio di un aereo militare con il preciso ordine di portarla a bordo, compiere tre giri sulla città e restituirla, dopo, ai pope.
I piloti sovietici, appena rientrati alla base, ricevono un contrordine: devono prima tornare da Stalin e, in seguito, andare dai metropoliti. Il custode del materialismo storico e scientifico afferra l’icona con le proprie mani e se la porta nel proprio ufficio. Nessuno è con lui. I testimoni sentono sbattere la porta e poi – come un tonfo – avvertono un secondo rumore, qualcosa che cade: aveva fatto il seminario, Stalin; l’unica cosa che aveva letto era la liturgia e ciò che aveva imparato a fare, prima di trasformare la basilica di Cristo Salvatore in una piscina pubblica, era cadere in ginocchio. Da quel momento in poi i tedeschi, inspiegabilmente, non riescono più a sparare un colpo. I cingoli dei panzer cedono, gli aerei non si alzano in volo e gli stendardi delle divisioni – sono gli stessi che ancora oggi vengono trascinati nellaParata della Vittoria sulla Piazza Rossa – diventano bottino per Santa Madre Russia.
Mosca festeggia oggi il Millennio di San Vladimir, e così il patriarca Cirillo, con Vladimir Putin, presidente della Federazione Russa, inaugura una nuova chiesa. La funzione solenne si officia nella basilica di Cristo Salvatore, la chiesa che nelle festività di trono, popolo e altare, accoglie la Madonna della Tenerezza. Già rasa al suolo, scavata nelle fondamenta per farne, fino all’epoca di Boris Eltsin, la piscina dei moscoviti, questa basilica ha aggiornato, con il ritorno all’origine, lo skyline di Mosca. Per ogni nuovo grattacielo c’è un grappolo di chiese nuove e la Russia, caso unico nella cristianità, dalla caduta dell’URSS vive la singolarità di un fatto: le richieste d’ingresso nei seminari, sia maschili che femminili, superano le disponibilità ed è – come notizia – ben più di un uomo che morde un cane: conferma, in Russia, una specificità teocentrica se non proprio teocratica perché una scena come quella delle strade a otto corsie svuotata per far passare la Madonna, bagnata dallo scampanio e dai baci di benedizione dei credenti, sarebbe impossibile perfino a Roma, capitale della cristianità.
Ho visto il lago, a Mosca. E’ il lago dei cigni, quello di Tchaikovsky. Vi si specchia il convento di Novodevicij. E’ per buona parte, adesso, impacchettato per i restauri. All’interno del cortile, tra le tombe, c’è quella della prima badessa chiamata qui dopo il crollo del potere sovietico. Era, nientemeno, che un astrofisico, e fu quella che materialmente costruì la fibra per le tute dei cosmonauti incaricati di arrivare sulla luna e poi comunicare – accadde proprio così – “Dio non c’è”.
Hanno avuto estirpato Dio in tutti i modi, i russi: il tritolo, come per i Budda distrutti in Afghanistan dai talebani, ha ridotto in polvere chiese d’inestimabile valore; con le icone, preziosissime, i bolscevichi facevano il tiro a segno; intere cittadelle conventuali, il cui pregio artistico era, all’epoca, pari al sito di Palmira in Siria, sono state cancellate dalla palingenesi ideologica. E le torrette medievali che oggi fanno da porta d’ingresso alla Piazza Rossa sono solo delle copie perché quelle originali furono fatte saltare in aria per agevolare l’ingresso in piazza ai carri armati e ai missili per la festa del Primo Maggio.
Ho visto, appunto nella cappella di Tretyakov, la Madonna della Tenerezza, l’icona dipinta da San Luca. L’ho contemplata nel luogo scelto a custodia e ho visto il popolo in fila, il tempo di un solo bacio, nel frattempo che un’inserviente passa un panno per disinfettare il vetro di protezione. E’ quello stesso popolo fino a qualche tempo fa in paziente attesa al Mausoleo di Lenin. Accanto alla teca ho visto un sismografo ma l’unico terremoto che fa sorridere Maria è una bimba di tre anni, occhi blu e capelli biondi, col velo regolarmente annodato al collo perché in chiesa, in Russia, le donne entrano col capo coperto e per gli uomini è fatto obbligo di decoro. Nessuno protesta per come nel mondo libero anglo-sassone ci si indigna per le donne col velo in moschea e sempre in chiesa, sempre in Russia, il posto del Diavolo è a Occidente mentre la luce, la verità e così il bianco dello Spirito Santo, l’azzurro di Dio, il rosso del Sangue – i colori della bandiera russa – stanno a Est.
Il pope intima il vade retro Satana e tutti, in chiesa, si volgono verso Ovest e ripetono col sacerdote l’anatema al Demonio.
Ho visto, in piazza della Rivoluzione, un uomo e una donna incamminarsi verso il monumento a Carlo Marx. Lei è bionda, alta di calcagno e indossa un tailleur. Lui, barba bella assai e capelli raccolti in una coda, è un monaco. Sembrano marito e moglie perché svelano una fisicità intima ma da vicino – i due, proprio a spasso – si rivelano madre e figlio. Un venditore di minutaglie, semini e caramelle, inciampa e scaraventa addosso al monaco il suo carico e così quel sant’uomo si ritrova coi bruscolini sulla tonaca, sul mento e sulla testa.
Ride lei, ride lui e ride l’ambulante che fa gara con la madre per pulire quella santa veste. A lavoro finito lo prende per la coda il suo bambino con la barba di San Nicola e gli stampa un bacio. “Meglio vedere una volta che cento volte sentir dire”. E’ una specie di mantra russo e quei due – madre e figlio, a spasso, appena visti – sono la spiegazione di ciò che nell’attualità, attraverso la storia, è diventa la Russia.
L’airone ha la purezza e il necessario coraggio per affrontare il cobra. “Spesso la vita è una candela i cui fuochi sono due: uno alla base e l’altro al vertice”. Parlano attraverso metafore i russi, fossero colorati di verde, per come mi spiega un amico moscovita, riusciremmo a comprenderli meglio ma sono apparentemente uguali e poi fanno cose – tipo annodare in chiesa o in macchina i nastri in omaggio alla Flotta russa; accendere candele nella Basilica di San Nicola a Kronstadr in memoria di Kolchak, l’ammiraglio dei russi bianchi – cose che noi non faremmo mai.
Sono diventati cristiani appunto perché al tempo dei Rus, osservando i cattolici, si sono ben guardati dal convertirsi perché non volevano saperne di avere al di sopra il Papa. Non sono diventati ebrei perché questi, pur popolo eletto, non garantivano loro una patria. Non sono diventati infine musulmani –nonostante il motto, “gratta un russo e troverai un tartaro” – perché riconoscendone il valore e la fierezza, ahinoi, non bevono alcol e non mangiano la carne del porco.
Passa comunemente per luogo barbaro La Russia, è un antico pregiudizio liberale avallato dal Vaticano che non saprà mai spiegarsi, nei secoli, l’eternità del rito ortodosso, sugello della Terza e definitiva Roma. Ma c’è un senso tutto di realtà in questo mondo perfino fiabesco quando, per strada, qualcuno accarezza “il petto del soldato”, ovvero il dettaglio delle medaglie nella foto dello zar Nicola II. C’è la Russua da una parte e tutto il resto del mondo cosiddetto libero dall’altra: “L’ottimista impara l’inglese, il pessimista il cinese, il realista, invece, impara il kalashinkov”. E’ Santa, è Madre, è Russia. (da Il Fatto Quotidiano)