Accolgo l’invito che il direttore ha rivolto ai lettori di Barbadillo su Facebook per un dibattito su quanto ha scritto Franco Cardini a proposito del tema dell’immigrazione. Ho una storia politica, oggi lontano dalla politica attiva, ieri appassionato militante del Fdg e del MSI, che mi fa sentire come un abito stretto e tagliato male le etichette destra e sinistra. Avevano, credo, già esaurita la loro funzione ai tempi del fascismo e a maggior ragione sono ancora più inadeguate ai nostri giorni. Il mio approccio agli “sbarchi che non si fermano”, come ci ricordano quotidianamente i media, non è di tipo emergenziale. E’ inaccettabile il traffico ignobile, ma lucrosissimo, che gli scafisti fanno con i loro carichi di disperati in fuga da vari paesi. Va contrastato e fermato con un’azione armata, sotto l’egida dell’Onu (ammesso e non concesso che l’Onu abbia ancora un senso, visti i molteplici fallimenti nella gestione dei suoi compiti istituzionali), per impedire le partenze dai porti della Libia.
Senza nulla togliere all’immenso valore umano del lavoro svolto da chi in divisa e non assiste i profughi, va invertita la rotta all’atteggiamento passivo dell’Italia e dell’Unione Europea, che hanno assistito impotenti alla trasformazione del Mar Mediterraneo in un gigantesco catino di morte e disperazione. La Francia e la Gran Bretagna, ora che vivono nel tunnel della Manica l’emergenza di Lampedusa e di altri luoghi nostrani, alzano la voce con l’Europa per affrontare gli sbarchi. Quanta ipocrisia! E’ necessario fare chiarezza, secondo le norme del diritto internazionale, tra chi può godere realmente dello status di “rifugiato politico” e chi no. Anche perché dallo status di rifugiato politico dovrebbe conseguire la responsabilità di una nazione oppure di un’altra nell’accogliere coloro i quali chiedono asilo politico. Le lungaggini dei farraginosi meccanismi burocratici dei Centri di Identificazione ed Espulsione sono uno strumento spuntato, che il più delle volte aggravano una situazione già di per sé difficilissima. Va rivisto pure il Trattato di Dublino che permette legittimamente ad alcuni paesi nordeuropei di ignorare il problema degli sbarchi a scapito di altri paesi più a sud con le loro coste soggette al traffico dei moderni mercanti di uomini.
“Il razzismo è roba da biondi”, ricordava Indro Montanelli di quello che gli disse il Duce, commentando un suo articolo, quando lo incontrò a Palazzo Venezia con Berto Ricci e gli altri componenti de L’Universale. Ho citato Berto Ricci e, quindi, non posso e non voglio essere insensibile a quello che scrive Franco Cardini sullo sfruttamento delle risorse del continente africano ad unico esclusivo vantaggio “degli interessi delle lobbies internazionali alleati con i governi locali corrotti”. Le loro ricchezze crescono a dismisura mentre le popolazioni si impoveriscono sempre di più. Purtroppo, seppure in misura molto diversa, è anche il modello economico e sociale che si prospetta per il futuro del resto del mondo. I più ricchi diventano sempre più ricchi, mentre i più poveri si impoveriscono ancora. C’è un nesso, che molti non colgono, tra chi fugge per raggiungere il sogno dell’Eldorado ricco del mondo occidentale e le condizioni di vita della gente comune di quello stesso mondo occidentale.
Il liberismo turbocapitalista, sempre più forte e prepotente, vorrebbe i lavoratori alla stregua di merci senza alcuna identità; chi non lavora sta ancora peggio, non gode di alcuna considerazione sociale, quasi come i paria indiani. Le ingiustizie macroscopiche tra nazioni ricche e nazioni poverissime mi fanno ricordare, e corro il rischio di ripetermi, quanto si leggeva sulle colonne di Linea; i popoli poveri vanno aiutati “in loco” in modo tale che possano raggiungere in tempi non biblici l’indipendenza economica. Non è facile e neppure semplice, però credo che sia la strada giusta da seguire. Purtroppo contrasta con la visione del gendarme del mondo, gli Usa. E questo non dovrebbe dimenticare chi ancora si richiama a quella destra, che ebbe tra i suoi elementi distintivi proprio la giustizia sociale.