Pubblichiamo integralmente una riflessione dell’ex sottosegretario Pasquale Viespoli (Mezzogiorno Nazionale) sul dramma del Sud e sull’inadeguatezza della politica a intervenire, in maniera decisiva, sul problema.
Le anticipazioni del rapporto Svimez e la denuncia del rischio di un Sud condannato al sottosviluppo permanente, hanno innescato un dibattito politico-culturale che, finalmente, ha rimesso al centro dell’attenzione la vecchia e nuova “questione meridionale”.
Il Pd ha convocato una direzione monotematica e, tuttavia nonostante lo sforzo comunicativo, la narrazione renziana non è riuscita a occultare l’assenza di visione. Il partito che ha l’egemonia di governo, a Roma come in tutte le regioni del Sud, aveva il dovere di elaborare idee-forza e scelte coraggiose, all’altezza della sfida ed adeguate rispetto alla dimensione epocale di una crisi che assume anche connotati inediti. Basti pensare solo alla questione demografica e alla desertificazione umana.
Invece, tutto è stato rinviato all’approfondimento alla Festa dell’Unità e al masterplan pre-legge di stabilità, mentre nel frattempo le opzioni e le scelte strategiche del governo vanno in tutt’altra direzione.
Renzi, nel corso del suo intervento introduttivo, ha fatto solo un cenno sbrigativo alla Riforma del Titolo V. Anche qui è mancato il coraggio di riparare ai disastri del 2001 e di ripensare il disegno riformatore.
La riforma della Riforma del Titolo V ha un valore non solo simbolico ed evocativo. A confermarlo è proprio la riflessione di Galli della Loggia, apparsa sul CorSera il 9 agosto, la cui tesi portante è il nesso causale del declino del Mezzogiorno con la dissoluzione dello Stato nazionale e delle culture politiche novecentesche.
Stato e Mezzogiorno, richiamano, appunto, la riforma del 2001, una riforma di stampo secessionista ma soprattutto disastrosa per il Mezzogiorno e lo Stato nazionale nel combinato disposto tra gli articoli 114 e 119.
Le modifiche apportate hanno determinato la cancellazione del Sud dalla Costituzione e “ridotto” lo Stato sullo stesso piano del Municipio. Sicchè è venuto meno l’obiettivo di riequilibrare Nord e Sud come missione costituente, in funzione dell’unità nazionale sostanziale. Contemporaneamente, il passaggio dalla gerarchia all’orizzontalità delle istituzioni, ha comportato un vuoto di sovranità e ha reso più fragile il Sud, proprio sul terreno dei diritti fondamentali, dall’istruzione alla mobilità, di cui lo Stato è l’unico possibile garante.
Sicchè è giusto affermare che la ripresa di centralità della “questione meridionale” passa attraverso la ricostituzione dello Stato nazionale. A tal fine è necessario dare un segnale immediato e inequivocabile: riportare il Sud in Costituzione e modificare, in senso gerarchico, l’articolo 114. Ed è l’impegno che, in sostanziale solitudine, con qualche vecchio compagno di viaggio, stiamo portando avanti e che forse una Destra, se ci fosse, avrebbe il dovere di assecondare e accompagnare. Ma la Destra non c’è e il dibattito sul Sud, segnato dall’indecente silenzio della Destra e del centrodestra, lo ha ribadito.