La copertina del libro, la riproduzione di una fotografia di Erwin Blumenfeld e il titolo “Atti osceni in luogo privato” figurano, nell’ultima opera di Marco Missiroli, come forme che stridono con il contenuto.
La lettura alla ricerca dell’atto osceno, trova la natura umana nelle sue pulsioni più elementari. È un viaggio nella vita di Libero Marsell, che prende le mosse da un’infanzia profetica di traumi e disinganni. Il primo, l’amara rivelazione di una madre terribilmente affascinante quanto adultera. Più che una condanna, trova posto il fantasma di Freud che sembra aleggiare su tutto il libro.
Una sorta di scusante psicoanalitica sostituisce l’atto più umano del biasimo. L’infanzia e l’adolescenza sono anche l’incontro/scontro con il proprio corpo e le proprie pulsioni: un dettagliato trionfo onanistico. La scoperta di se stesso avviene tra masturbazioni, ferite, lutti reali e psicologici, sino all’”adultità”.
È un itinerario che passa attraverso numerose figure femminili, tra lo stereotipo e l’archetipo: donna, (grande) madre, puttana, sorella, amante. Mademoiselle Lafontaine, Marie, certamente la più interessante: bella e dannata. Un portento di carica sessuale in un’ipersensibile, ovverosia la condanna alla solitudine e alla vana ricerca di un uomo, dell’uomo. Ma anche la creatura accogliente dove Libero torna sempre, per un libro, una canzone, una palpata.
Lunette, l’onice del Madagascar, la passione trovata, rigettata e persa. La conoscenza del lutto d’amore, quel periodo rituale di sesso consolatorio, sconforto e naturale ripresa.
E poi Anna, soffiata al suo migliore amico, come a ricalcare un territorio già conosciuto: Emmanuel, amico di famiglia e amante prima, uomo ufficializzato di sua madre, poi. Forse, il vero atto osceno.
I personaggi sono ben tratteggiati, ma nella rincorsa all’originalità, sfociano spesso nel luogo comune. Quell’andare contro che diviene un andare tutti democraticamente dalla stessa parte. Una sinfonia che vuole attrarre a ogni costo, rischia la stonatura. Una donna è tanto più bella quando è ignara del proprio incanto, così un’opera.
Un libro ben scritto, ma eccessivamente farcito, dunque di complessa digestione. Le numerose citazioni letterarie, musicali e cinematografiche, passano facilmente da molte a troppe, sino a giungere al confine con l’autocelebrazione. Peculiarità piacevole nello scrittore che sa dissimularla, meno in quello che rischia di annaspare nella parata. Da leggere, ma giusto dopo L’Étranger di Albert Camus.