“Perché tu possa, o lettore, comprendere il fascino della strana storia che m’accingo a narrarti e rivivere con me all’unisono l’anima dei fatti che sono per rievocarti, vorrei condurti per quelle strade della vecchia Roma, ancor oggi rimaste intatte, in cui s’aduna il grande silenzio dei ricordi più misteriosi; fra quei palazzi che ti guardano come le curiose fisionomie degli antichi ritratti vorrei che passassi con me una sera al crepuscolo”.
Ogni tanto riemerge qualche perla libraria che sembrava essere destinata all’oblio. È il caso de “La Virgilia”, romanzo-diario lirico o poème en prose, del poeta e critico musicale nonché esponente della “Scuola Romana” Giorgio Vigolo. L’opera, composta nel 1921-22 e pubblicata per la prima volta nel 1982, su interessamento del poeta e giornalista Pietro Cimatti, fa nuovamente capolino fra gli scaffali delle librerie per i tipi dell’editore Bompiani.
Accompagnano il testo una prefazione e un saggio introduttivo, che ne tracciano il percorso compositivo ed editoriale e ne tentano l’esegesi, insieme ad altri tre scritti dell’autore. Il tutto appare sotto il titolo complessivo di “Roma fantastica”*.
Al centro dell’opera è la musica quale disvelatrice di una realtà sempre presente, ma che può essere posseduta soltanto dalle anime più sensibili, in grado di coglierne la profondità accanto alla superficialità del significante.
“La Virgilia” è strutturata mediante l’escamotage narratologico del racconto diaristico che permette di consegnare con vividezza di sentimenti ed emozioni le percezioni scaturite dal contatto con una materia impalpabile e ineffabile coincidente con l’enigmaticità del vivere umano e della realtà tutta, qui colta nelle corde più profonde dell’anima dal narratore-protagonista, attraverso l’impatto con le sculture e i monumenti della città di Roma, che la musica, vissuta come esperienza interiore, ‘riconduce’ vanificando il tempo agli antichi splendori.
La grande arte quanto le iscrizioni sugli architravi degli edifici o le figure apotropaiche poste dove ‘le vie fan crocicchio’, se deliziano il turista o il comune passante, attraggono e sconvolgono viceversa la coscienza dell’artista, per la loro pulsante sacralità, e lo proiettano, scrive Simone Caltabellota nel saggio in apertura, “in un volo magico oltre il tempo, reso possibile dalla poesia e dalla musica”. Il protagonista si inoltra in una zona liminale, ai confini del dantesco ‘muro della terra’ rivisitato da Giorgio Caproni, al limite dei luoghi ‘giurisdizionali’, dell’assoluto, laddove si ergono le colonne d’Ercole della ragione umana. Ma chi si scontra con l’ignoto resta come il Giacobbe biblico ‘zoppo’, segnato e ‘accecato’ per sempre da “una traccia indelebile”, di cui non riuscirà a “scordarsene più”, e la ‘metamorfosi’ è dietro l’angolo.
Così scrive l’autore:
“Di tal modo m’appariva la città teologale, come un grande gorgo, un vortice concentrico in cui tutte le correnti di musica e d’arte e di spirito sparse nel mondo venissero irresistibilmente attratte, per essere lì aggirate e diremo concertate nell’insieme orchestrale di quell’ambiente misterioso. E io stesso viaggiando verso Roma, mia decisa meta, mi sentivo foglia o festuca che correva ormai verso quel gorgo, motivo che correva verso la sua sinfonia”.
*Roma fantastica, di G. Vigolo, (pp. 192, euro 11,00, Bompiani)