Incalzare il male, braccarlo, guardarlo e fagocitarlo.
Gridare il dolore nella lirica di un verso.
Liberare il lettore per condannare se stesso.
Incendiare il foglio bianco nell’autorità di una poesia che lacera e non domanda redenzione.
Un patimento cantato con lucida dannazione.
Un Nick Drake meno sentimentale, un Bukowski meno fallico, un’immagine tragicamente romantica di poète maudit, ma lui è italiano, postumo in vita e vivo nella morte: Simone Cattaneo.
In un volo di sette piani ha lasciato l’afflizione e un’Italia sciagurata, brutalmente descritta in Made in Italy (2008), quel paese che assegna poltronissime all’esterofilia di tendenza e ai circuiti salottieri nostrani.
E dimentica, riservando l’ombra a coloro che non chiedono, portatori sani di quella scomodità priva di democratica benevolenza.
“La prima parola di latino che ho imparato è silentium”: così il verso di una poesia in Made in Italy, lo stesso silenzio che nell’inchiostro di Cattaneo diviene un grido doloroso in parole che si incollano alla carne.
Ogni componimento è una fitta singolare che resta nel tempo della memoria.
Nessun orpello demagogico per abbellire, ma una parola ricercata nelle viscere dell’uomo e nei sotterranei oscuri di quella città che non dorme mai.
In un male necessario perché inevitabile, Simone Cattaneo, non cela realtà di disagio, al contrario, con grande maestria di linguaggio, rivela un mondo angoscioso.
Una bussola dell’oblio che smette di tentare la luce e dona versi coraggiosi.
“Troppo bello per essere un pugile, troppo brutto per fare il magnaccia.”, troppo bravo per essere noto.
Nel 2012, la casa editrice Ponte del Sale ha raccolto in un unico volume Peace&Love i due libri di poesia Nome e Soprannome (2001), Made in Italy (2008) e l’ultimo libro inedito dal quale prende il titolo la raccolta.
Simone Cattaneo lascia un’eredità importante che si colloca fuori dalle accademie e dentro la penombra di quell’individuo che vive nelle persiane accostate, con uno sguardo sulla città e uno furtivamente dentro se stesso.
“Stanotte di fronte al televisore spento
mi sono messo a ballare con una canna da pesca
un lento tragico e romantico, ho spostato i mobili
del soggiorno e al centro del pavimento ho ammucchiato
quotidiani vecchi, cartoni di latte e qualche
fazzoletto sporco. Poi ho dato fuoco a tutto
e mi sembrava di partecipare a uno di quei veri balli
studenteschi pieni di gioia e speranza nella vodka
con un chiasso infernale che mi riempiva le orecchie
con il rumore del mare.
Spento il fuoco, qualche ombra fiera e dura
Incisa sulle mura, la canna da pesca incrinata
Sono rimasto a suonare su una tastiera sgraziata
chissà poi cosa
aspettando di riprendere fiato
e ho pensato di uscire all’aria aperta ma chiudendo
gli occhi il rosso del fuoco divideva ancora
il mio pavimento e non colava a picco,
rimaneva fisso lì a marchiare il territorio
in attesa di tutta la mia miseria.”
(Da Nome e Soprannome – Simone Cattaneo)