Il giorno dopo il voto del parlamento greco che ha spaccato Syriza e che ha segnato la resa di Tsipras, il Wall Street Journal addita la Grecia come esempio per le nazioni indebitate e annuncia che ci vorranno circa 40 anni perché (forse) esca dalla morsa del debito. Intanto, nel 2030, dopo i grandi sforzi, i sacrifici, le privatizzazioni, il taglio della spesa pubblica e la ristrutturazione del debito, si prevede ottimisticamente che il rapporto debito-Pil in Grecia scenderà finalmente (!) al 108%. In Italia, checché ne dica Renzi, non stiamo messi molto meglio.
Nel bel mezzo di un’estate rovente, appare dunque quasi impossibile immaginare una soluzione diversa. A nulla valgono i referendum, a nulla vale la libertà di scelta dei cittadini (“Voi siete in un programma – ha detto il ministro tedesco Schäuble a Varoufakis – i governi possono cambiare, i programmi no”): i meccanismi del debito, gli interessi dei creditori, la scarsa lungimiranza e la disonestà dei debitori nel chiedere prestiti guardando solo al breve periodo (quello elettorale), hanno confezionato questa situazione apparentemente senza via d’uscita positiva.
Quarant’anni sono quasi due generazioni. Se non ci saranno guerre, rivoluzioni, cadute di asteroidi o invasioni di extraterrestri (tutte contingenze comunque poco auspicabili), saremo costretti a sopravvivere in questo tipo di mondo fino alla (nostra) fine. Bisognerà attrezzarsi.
Perché poi, paradossalmente, il rischio più grande che deriva dall’attuale impasse non è solo di tipo economico-sociale (il debito, il sistema finanziario, le migrazioni, l’aumento delle povertà e delle disparità), quanto piuttosto culturale. Già ora, nei Paesi occidentali, le reazioni di pancia appaiono in alcuni casi più pericolose del problema che le ha innescate.
Fomentare una rivolta, un sommovimento immediato in un rigurgito di nazionalismo e di egoismo? Oppure fare un passo indietro e rafforzarsi sia individualmente che come comunità, provando a reagire con il cuore più che con la pancia, magari pescando in quegli arsenali culturali che alcuni fratelli maggiori avevano tanto faticato a costruire e che vent’anni di berlusconismo sembrano averci fatto dimenticare?
Se non ci piace questo mondo, quello dell’homo oeconomicus (anzi dell’uomo-merce), dell’alta finanza, della globalizzazione, alcuni tra i vecchi ideari a disposizione potrebbero tornare ancora utili.
E allora? Possiamo ripensare ai passaggi al bosco del ribelle di Jünger, oppure provare a cavalcare la tigre su suggerimento di Evola cercando di far sì che ciò su cui nulla possiamo nulla possa su di noi, capaci di attendere – nel passo lungo della storia – la fine di un ciclo?
Altrimenti possiamo provare a vedere come filtrare e attualizzare alcune di queste idee. Partendo da un assunto molto netto, come il rasoio di Occam: quasi sempre la soluzione migliore è la più semplice.
Se non ci piace questo mondo e la sua way of life, proviamo a comportarci diversamente, iniziando dalle nostre vite personali.
E’ insensato, o peggio ancora blasfemo, avvicinare, o per meglio dire confrontare alcuni aspetti delle suggestioni Jungeriane o Evoliane sul “vivere diversamente e farsi esempio” con i temi più discussi della decrescita o con quello della semplicità volontaria?
Già diversi anni fa Alain de Benoist provò ereticamente, come al solito, ad accostarsi al MAUSS, il Movimento Antiutilitarista nelle Scienze Sociali, confrontandosi con Alain Caillé nel suo percorso oltre la destra e la sinistra.
ll tema della semplicità e quello della frugalità, sono i più pericolosi per il sistema attuale. L’idea del dono, dell’azione senza apparente utilità e dello scambio comunitario mandano in crisi gli apparati della finanza. La bellezza, il paesaggio e la natura, sono elementi – essi stessi – che non possono essere contabilizzati in un bilancio e che pure fanno la differenza nella qualità della vita.
La domanda però è: a cosa siamo disposti a rinunciare? E quali conseguenze avrebbero le rinunce personali se si estendessero a gruppi sempre più ampi delle nostre società?
Alexis Tsipras pochi giorni prima del referendum in un’intervista alla televisione greca aveva detto che se anche la Grecia fosse fallita, il sole la mattina dopo sarebbe comunque sorto ad Est. Poi però è corso a firmare l’accordo.
Negli stessi giorni Papa Bergoglio, nella sua enciclica Laudato sii ha segnato la via per un altro tentativo di scalare un versante inviolato della modernità.
Forse è ora di scegliere anche noi, ognuno di noi, il nostro versante e provare a salire. Nel campo base sono sempre disponibili le nostre migliori attrezzature: comunità, bellezza, libertà.