Venerdì 19 scorso, alle 19 di sera, con provvidenziale e NON casuale concomitanza abbiamo terminato a San Marino i lavori di un nostro Convegno internazionale di studi sulla tutela della Famiglia vera, in un piccolo paese in cui l’aborto (ohibò) è considerato un reato e il matrimonio, per legge, è (horroresco referens) quello far un uomo e una donna e basta. A dire il vero un amico, il celebre avvocato Simone Pillon di Perugia, all’ultimo momento ci ha avvertito che al bivio della via Flaminia si sentiva costretto a calare su Roma, anziché venire a difendere mura antiche, quelle sammarinesi, che almeno al momento si difendono abbastanza degnamente da sole. Simone adora le battaglie difficili. E quella romana lo era. E come sempre i peggiori nemici sono quelli alle tue spalle.
Ma da questo mio piccolo angolo di mondo, quassù, vicino alla terza torre di San Marino, vedo lontano. E il giorno dopo ho visto, a Roma, un milione di italiani che si sono radunati in Piazza S. Giovanni per difendere la famiglia dalle ideologie libertine, dal consumismo teratogeno, dai deliri di onnipotenza globalizzati.
Grazie ai Palantir di questo tempo ho sentito i loro canti semplici. Non sanno il gregoriano e schitarrano. Non è gente eccezionale. Proprio per questo mi sono parsi bellissimi, coi loro cappelletti da spiaggia e gli zainetti da pic nic, ora che hanno tratto la lama del loro coraggio fuori dalla pesante guaina del conformismo borghese. Ho sentito i discorsi dal grande palco rosso. Cose altrettanto semplici, ma vere. Facce diverse, spesso a me note, strade diverse alle spalle fra loro e da me, ma con una cosa sottile in comune, qualcosa che chi sta dall’altra parte, l’Arci gay, Luxuria e Soros, non capirà mai, nemmeno in mille anni.
La sinistra in Italia è sempre quella dei “signori e cavalieri” dell’Inno dei Sanfedisti; sprezza il popolo basso, perché, è sempre bene rammentarlo, il popolo sono loro. E chi non si adegua disprezzo, polizia, colonne infernali. Ma questo genera Cristiade e Vandee…
Dicevamo che i peggiori nemici del popolo cattolico italiano, ma non solo, stanno alle loro spalle. Piccoli politici (anche in talare, ma non solo) che pensano a non inimicarsi il Partitone che deve poi pagargli il tetto dell’oratorio; teoreti di un dialogo che significa sbracamento decennale, il cui premio è la ribalta sui palcoscenici massmediale delle banalità seriali e dei cocktails fighetti romani; vescovi inibiti e paurosi contornati da un clero non meno fragile e frastornato, disabituato alla battaglia.
Ma non tutti. Monsignor Luigi Negri, arcivescovo di Ferrara-Comacchio, è stato tra i primissimi vescovi a sostenere l’idea di una manifestazione pubblica a difesa della famiglia e dei bambini ed ora è particolarmente soddisfatto della grande festa della famiglia che si è celebrata sabato 20 giugno in Piazza San Giovanni. Ha seguito tutto il giorno lo svolgersi della manifestazione, stando al telefono con gli amici presenti a Roma. «È una cosa grande che è potuta accadere perché ha trovato un milione di uomini grandi, un milione di cuori grandi, cioè disponibili ad agire senza farsi frenare dalle piccole alchimie delle valutazioni scientifico-politiche». Irride, monsignor Negri, a chi ha cercato di tirare il freno a mano sulla manifestazione agitando timori di numeri, copertura massmediale, realistici effetti politici: «Già, come se la grande battaglia di Lepanto fosse stata fatta sulla previsione della vittoria. Fu fatta prevedendo che sarebbe stata una sconfitta. Tutti, dal re di Polonia fino all’ultimo servente di mulo ricevettero la comunione in articulo mortis. O come se quelli che hanno manifestato contro il comunismo nelle piazze di Danzica, di Varsavia, di Cracovia avessero valutato che c’era una certa previsione che il comunismo cadesse. Avessero ragionato come tanti ecclesiastici e uomini di cultura oggi in Italia, avrebbero detto che era inutile fare la manifestazione perché il comunismo non sarebbe caduto. Come invece cadde, anche per queste manifestazioni». Ovvero, contro le ovvie viltà di pavidi e teologi alla moda (cui si sono uniti immediatamente quei “tradizionalisti” che sostengono che Cristo sia nato in Brasile), «Il popolo giustamente ha seguito l’instinctus fidei, quell’istinto della fede per cui il popolo attese all’uscita i vescovi che partecipavano al Concilio di Efeso del 431 imponendo quasi manu militari la dichiarazione della Madonna come Theotokos, madre di Dio. Ecco questa a me pare la grande esperienza di un popolo cattolico e laico che ritrova il senso della propria dignità, il senso della propria cultura, il senso del proprio servizio al bene comune, per il quale fa un gesto magari piccolo ma che diventa significativo nel contesto della vita sociale.»
I peggiori nemici del popolo cattolico italiano stanno, dicevamo, alle loro spalle. Dure critiche al Family Day sono infatti arrivate a botta calda dallo storico (noto come cattolico ed ospite fisso delle TV RAI) Alberto Melloni che, nel commento uscito venerdì scorso sul Corriere della Sera ha denunciato «dietro la manifestazione tante ragioni strumentali», esprimendo la «sagace intenzione di insinuare che chi ha deciso di scendere in piazza a Roma farebbe meglio a occuparsi dei migranti, anziché dei propri ricchi privilegi familisti». Già. “Ricchi privilegi familisti” quelli delle famiglie italiane che ogni mese fanno i conti con le rette degli asili, con i costi occulti della scuola di stato (ove oramai nulla funziona se non te la paghi), con tasse strangolanti e con la ripresa di Renzi che continua a macinare chiusure di negozi ed aziende, disoccupati e sottoccupati.. Famiglie che restano oggi il solo argine residuo alla macelleria sociale globalizzata i cui frutti umani possiamo ammirare esattamente nelle migliaia di profughi che accorrono verso le Terre promesse di un consumismo che non esiste già più… Solo un intellettuale cattocomunista, creatura artificiale da acquario accademico sinistroide bolognese, può avere una tale non conoscenza della realtà concreta dell’Italia d’oggi, unita ad una tale saccenza. Che parla soprattutto perché non ha alcuna esperienza diretta di quel che significa dar da mangiare, vestire e mandare a scuola 3 figli oggi. Se la realtà confligge con le mie convinzioni, tanto peggio per la realtà (come direbbe a buon titolo Saint-Just).
Tuttavia la rabbia che traspare da dichiarazioni come queste (non inizio nemmeno a sfogliare il Liber monstruorum delle reazioni libertine, omosessuali e sinistronze) è la prova migliore che il Family Day 2015 è stato, alla fine dei conti, una cosa buona.
Qui, dall’alto delle nostre antiche mura, contiamo uno per uno questi nuovi amici, li guardiamo in faccia, e con loro esultiamo.
Una volta si diceva “Deus vult”. Bene, lo si può felicemente ripetere anche oggi.