Mentre che l’uno spirto questo disse,
l’altro piangëa; sì che di pietade
io venni men così com’ io morisse.
E caddi come corpo morto cade.
Dopo lunga e dolorosa agonia s’è spento (per la seconda e definitiva volta) il Parma Football Club. Onorato l’ultimo campionato, anche le ultime offerte (tra cui quella d’un folkloristico uomo di baseball americano) sfumano. Stavolta non ci sarà nulla e nessuno a salvare i colori emiliani dall’onta della discesa negli inferi della serie D.
La parabola dell’Emilia gialloblù ruota attorno a due nomi. Il Parma ha iniziato con Callisto Tanzi ed è sostanzialmente fallito con Giampietro Manenti. Due bluff, diranno. Ma uno era un colosso economico dalle gambe finanziarie dopate di pompatissima argilla, l’altro era una pulce che voleva farsi credere elefante e che si ebbe l’ardire di presentarsi, nella terra di Ferrari e Maserati, al volante di una Golf.
La parola magica è bianca come il latte, lo yogurt e ha l’aroma delle merendine dei bimbi che mangiano anche i grandi. Parmalat. La squadra di famiglia, dell’azienda, di un territorio che impara a fondersi con la “sua” multinazionale. Che a essa e alla famiglia Tanzi (che trasforma una latteria in un impero mondiale) lega vita, morte e miracoli. Modello, entusiasmo, lavoro e vittorie. E poi la domenica al Tardini che c’è Brolin e Asprilla. Che quando si scopre il bluff e il gioco fa crac, sono in tanti a finire con le tasche piene di sassi e cartacce che fino a poco prima credevano oro zecchino, purissimo e preziosissimo. Gli anni spensierati della stupenda gioventù, dell’irresistibile freschezza e del sogno dello sport si schiantano contro i giochini dei commercialisti furbastri.Il Parma era il miglior sponsor della Parmalat. E viceversa. Finchè la bolla ha retto. I grandissimi sono andati via, per aiutare le casse. Poi la squadra si è ritrovata svuotata dai campioni e riempita di giovani speranze. A volte belle, altre no. Spesso irritanti, come Cassano eterna promessa anche trentatré anni.
Era una delle più riverite sette sorelle, il Parma. Aveva preso negli anni ‘90, piano piano, il posto del declinante Napoli che, dopo la fuga fiscale di Diego Armando Maradona era lentamente scivolato in quel limbo che farà da preludio alla fase più triste della storia azzurra, quella Ferlaino-Corbelli-Ferlaino-Naldi. Zola e Cannavaro non furono mai guagliuni veramente ‘e Napule. Esplosero a Parma. Dove giocarono insieme a tanti, troppi paladini del calcio. Dalla primissima serie A, con Alessandro Melli e Claudio Taffarel al sogno di Gigi Buffon e Lilian Thuram, Enrico Chiesa e Tino Asprilla. Diego Fuser e Fernando Couto. Hernan Crespo e Juan Sebastian Veron. Lo scudetto, però, che non arriva mai. E mai arriverà. Le coppe sì. E mica poche. Persino con Malesani, che oggi non vince più.
Figc, capi, capetti e caporioni federali e stampa, anche lei, che parlano di calcio rinato a Parma e nuovi esempi, modelli e storie vincenti. Poi il giocattolo si rompe e nessuno lo sapeva ma, sogghigna, sospettava.
Giovani, un po’ in carne, golose e succulente. Centinaia di tesserati, supermercati, entusiasmo e tante ma tante, troppe, trastole. Una rosa che è un esercito e il giocattolo che, dicevo, si rompe. Alessandro Melli, che nel frattempo è cresciuto fino a diventare dirigente della squadra, s’era sfogato spifferando alla stampa (non più festante ma indignata, anzichenò) spese, costi, sciocchezzai e vanaglorie assortite. Com’è possibile che tutto a un tratto una realtà premiata come esempio virtuoso (fatevi un giro su google e vedete che esce) diventi l’ennesimo capitombolo, il cortocircuito nuovo e travolgente (nonostante tanti appelli che per tantissime altre squadre mai sono stati fatti) che riveste di fallimento il pallone d’Italia?
Fatto sta che oggi è il tempo delle lacrime. Più che la morte annunciata del Parma – che in fondo ha solo smesso di soffrire – si pianga la fine dell’era d’oro dell’ex campionato più bello del mondo. Perchè gialloblù, crociati, ducali vuol dire tre decenni circa di pallone che se ne vanno giù all’inferno.