Gioia, tantissima gioia per la vittoria nel massimo campionato francese con lo Stade Français Paris, ma anche amarezza per quello che sta succedendo in Italia in questi giorni. Sergio Parisse, capitano della Nazionale azzurra e dello Stade Francais, ha rilasciato dichiarazioni che certamente non contribuiscono a rasserenare l’ambiente del rugby italiano.
“Resta un grandissimo dispiacere non avere ricevuto la chiamata del presidente della nostra federazione: credo che il massimo esponente del nostro movimento avrebbe dovuto sentirsi onorato nell’avere il suo capitano in campo con il tricolore e il Bouclier de Brennus, il trofeo del successo”, ha puntato il dito Parisse, che in campo con lo Stade Français, nel match che è valsa la conquista del titolo, alla fine aveva infatti anche una bandiera italiana.
Ma il terza linea non si è fermato qui: “Io per la Nazionale ci ho sempre messo la faccia e preso tanti schiaffi. E dall’altra parte non c’è mai stato un grazie, anzi, ho preso altri schiaffi. A un certo punto mi dico: ma chi me lo fa fare? Non parlo da azzurro o da capitano, sono solo Sergio. Un ragazzo che ha dato sempre il cento per cento. Qui in Francia e in giro per il mondo, in paesi che nel rugby sono anni luce avanti a noi, sento nei miei confronti stima e complimenti, poi arrivo in Italia e mi sento criticare da chi questo sport non lo vive a quei livelli”.
Una riflessione sui valori del rugby
In questi giorni si sta lavorando per ricucire lo strappo tra i giocatori della Nazionale e la Federazione, che aveva portato i primi ad abbandonare il ritiro premondiale di Villabassa. Al centro della disputa i premi.
Già lo scorso aprile, terminato il SeiNazioni, si erano vissute giornate difficili. Il presidente federale Alfredo Gavazzi disse: “Non voglio pensionati, non li ho portati io al 15° posto del ranking”. Su Twitter, con #portacirispetto, si scatenò l’ira proprio di Parisse, poi seguito da tanti altri.
Oggi, come un fiume carsico il nodo è tornato al pettine. Al di là degli esiti della trattativa, i giocatori dovrebbero fermarsi solo un istante a pensare su quanto male possa fare al rugby questa querelle. Lo scontro, che non è solo per i soldi ma sui metodi, viene comunque vissuto dal pubblico come un tradimento dello spirito del rugby, quello che ha permesso a questo sport di raccogliere sempre più consensi e appassionati. L’immagine stessa di disciplina verace, fatto di uomini “con gli attributi” che finita la battaglia si ritrovano per il terzo tempo ne sarà sicuramente compromessa.
A sostegno della posizione di Gavazzi si è addirittura schierato in prima persona il presidente del Coni Giovanni Malagò”: Non mi nascondo dietro a un dito, in assoluto sono d’accordo a stabilire i premi in base ai risultati, non per il rugby ma per tutte le federazioni”.
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