Non basta una verniciata di renzismo a convincere gli elettori. Intere porzioni della popolazione ligure l’hanno sancito alle recenti regionali, scegliendo di restare a casa oppure di dare fiducia all’unica forza che abbia saputo dare ascolto e amplificare istanze autenticamente popolari, al di là delle (presunte) squalificanti etichette di populismo che, di volta in volta, vengono appioppate, di solito da chi il popolo ha dimenticato di servirlo. Perché se è vero che il “modello Liguria” ha portato alla vittoria di Giovanni Toti e di un centrodestra di recente mai così unito – da Forza Italia alla Lega, passando per Fratelli d’Italia e le briciole centriste di Ncd e Udc – il trionfo è soprattutto di Matteo Salvini e del suo Carroccio.
Liguria terra rossa
In una terra tradizionalmente “rossa”, e in cui sia il vecchio Pci che l’erede stinto democratico hanno spesso governato con maggioranze bulgare, che a volte rappresentavano anche l’80 per cento del corpo elettorale, il tonfo democratico è stato causato da svariati fattori. In primo luogo da una faida interna ai democratici che da almeno un anno e mezzo ha visto duellare senza esclusioni di colpi una porzione di partito resistente al restyling renziano con quanti si sono riciclati – Burlando in primis – per non finire nell’elenco dei rottamandi, indossando la casacca dei rottamatori appena annusato l’aria favorevole al parolaio di Pontassieve. Una candidata debole e percepita come troppo ancorata al passato come Lella Paita, le alluvioni tornate a martoriare la fragile Liguria e primarie per la presidenza finite tra veleni, inchieste e strappi clamorosi come quello di Cofferati hanno fatto il resto, disegnando una debacle che – a poche settimane dal voto – era semplicemente inimmaginabile.
La rottura della Lega
Ma è la Lega ad aver rotto gli argini tradizionali e ad essersi affermata come forza di riferimento per gli esclusi, per quel blocco sociale a cui la sinistra non dà più ascolto. Sarebbe troppo facile bollare i 109.209 elettori che hanno scelto il Carroccio (20,25%, terza forza e a pochi voti dal secondo posto del M5S) come un’orda barbarica di razzisti e xenofobi pronti a bombardare barconi, come si affanno a dimostrare – mostrando l’enorme contraddizione dei democratici con la puzza sotto al naso – maître à penser e politici trombati. In quella folla c’è probabilmente una porzione di pensionati che hanno assistito allo scandaloso balletto sui rimborsi per la legge Fornero (con la Lega che era stata l’unica a raccogliere firme per un referendum poi bocciato dalla Consulta), di agricoltori costretti a pagare l’Imu sui terreni agricoli, di pescatori che sentono solo da Salvini pronunciare parole di verità contro gli assurdi lacci e lacciuoli imposti dall’Unione europea sulla pesca, di commercianti e piccoli imprenditori stremati dalle tasse. C’era, probabilmente, anche chi aspetta la casa popolare in graduatorie infinite per poi vedersi scavalcato, come diritti e considerazione, da chi arriva dall’altra parte del Mediterraneo, ad arricchire le solite coop che mangiano sull’assistenza e ad abbassare la concorrenza dei lavoratori liguri. In quelle piazze che, nonostante le contestazioni antifasciste, erano piene di persone, c’era anche chi è stufo che in Liguria, “si lavori solo se in tasca si hanno le tessere di Pd, Cgil e coop”, come gridato da Salvini in tutte le salse. Concetti che hanno il pregio di individuare la vera frattura in atto nella società, sbugiardando le contraddizioni dei nipotini di Voltaire.
I Camalli con Salvini
A Savona, cinque giorni prima del voto, a parlare con l’altro Matteo sono arrivati persino i camalli della compagnia portuale. Un ambiente in cui, fino a poco tempo fa, il Pd era in minoranza ma perché scavalcato a sinistra dal partito comunista dei lavoratori. Un colpo al cuore per i “compagni” liguri, che fanno finta di dimenticare di essere sdraiati sulla teoria dei diritti dell’uomo, invece che di farsi interpreti dei bisogni dei propri concittadini. Oggi ultimi e penultimi, in Liguria e non solo, guardano con interesse alla nuova Lega, che non a caso avanza sopra le macerie delle consorterie allestite da una sinistra non più in grado di interpretare le aspettative del popolo ma solo intenta a conservare i privilegi di una fetta sempre più ristretta di cittadini.
Nuovo Modello?
Il “modello Liguria” che emerge, al di là delle alleanze e dei candidati su cui fare sintesi, è proprio questo: un movimento capace di essere autenticamente popolare raccogliendo attorno a sé le forze che sappiano coniugare identità, sovranità e giustizia sociale in una nuova sintesi nazionale. Da Genova sarà esportabile altrove?