L’estate s’era già stesa sull’Arno, accucciandosi adagio su una coltre d’afa. Il tramonto incombe e in giro ci stanno per lo più turisti. Americani, inglesi, tedeschi. E russi, polacchi e giapponesi. La fila perenne degli Uffizi, ora, smobilita. È tardi, se ne parla domani. Forse. Tra Santa Maria Novella e piazza della Signoria tintinnano forchette festose e piatti pieni di bistecchine dei gonzi d’oltralpe, divampa la brace su cui cuociono le fiorentine vere e belle e gustose che gli onesti non negano agli amici d’ovunque. Il lampredotto va a dormire. I bicchieri si risvegliano. Scintillano, pieni di sofisticata Sassicaia o informale Chianti. E’ una tranquilla serata di giugno.
Sono le 20.24. Un comunicato solo squarcia la quiete della sera. Un boato attraversa tutta la città. Uno solo e decisivo. Poi una raffica di tuitt sfrigolanti, increduli, arrabbiati, sollevati. “Con grande rammarico, dobbiamo prendere atto del fatto che è venuto meno il rapporto fiduciario necessario per la prosecuzione di qualunque rapporto e siamo pertanto costretti – per il bene della società– ad esonerare Vincenzo Montella”.
La scena del crimine descrive un delitto d’impeto. Esonero giunto perchè: “La Fiorentina ha valutato il comportamento ultimamente tenuto dal proprio allenatore Vincenzo Montella come la precisa volontà di liberarsi da un contratto legittimamente firmato meno di due anni fa perché contenente una clausola che l’allenatore non ritiene più nel suo interesse, ma che a suo tempo aveva concordato”.
Chi ha sparato (la società) ha voluto chiaramente punire, quasi sfregiare, la sua vittima. O, quantomeno, dargli una lezione indimenticabile: “Questa situazione repentina ovviamente ci crea problemi organizzativi che dobbiamo risolvere con urgenza.Ci saremmo aspettati dall’allenatore un comportamento più chiaro, più rispettoso e meno ambiguo nei confronti di una maglia, dei suoi tifosi e di una società che tanto gli hanno dato”.
Vincenzo Montella non si trova. L’allenatore – dicono – sia scomparso già da prima. L’allenatore – dicono ancora – non è che sia stato poi questo stinco di santo. Strano destino attende chi al calcio lega la sua sorte. Ve li ricordate Canà e i Gemelli della Longobarda? Al contrario, però. Montella ha incassato prima l’esplosione di Salah e poi ha pagato la doppia batosta col Siviglia e in Coppa Italia.
Non c’entra l’andamento della squadra. Gli inquirenti del pallone, quelli che battono palmo a palmo spogliatoi, uffici, sale stampa e campi sportivi hanno scoperto che il movente sarebbe legato a cinque milioni di ottimi motivi. Una clausola di rescissione che Montella avrebbe voluto togliere dal contratto. E che la società avrebbe considerato intoccabile. Tira e molla, molla e tira. Banale delitto (della clausola) a sfondo economico.
La città, come accadde un’altra volta tanti anni fa sullo sfondo di una vicenda ben più seria, inquietante e misteriosa svoltasi tra le sue colline, si divide tra “innocentisti” e “colpevolisti”. Era già successo, calcisticamente parlando. Era accaduto al tempo di Cesare Prandelli e della “sua” Fiorentina. E lo ha detto (intervistato qua e là sul web) niente poco di meno che Giancarlo Antognoni, mica un bischero qualsiasi. Come Prandelli venne accusato di civettare con la Juve, così Montella paga la vanità di farsi corteggiare da Milan o Napoli o Roma o addirittura da qualche reame straniero. I Della Valle, come Savonarola, non perdonano.
Intanto la Fiorentina attende l’imminente Cda e, perciò, di gettare le basi per un nuovo ciclo. Montella non tornerà. E i turisti, che non hanno sentito nulla, continuano a ciondolare e ciacolare sul Lungarno. Incuranti, passeggiano. Aspettando il turno per gli Uffizi.