L’aver perso disastrosamente la guerra e visto l’Italia spaccata tra Nord e Sud, l’aver avuto in Parlamento e nel Paese il più forte partito comunista d’Europa, del quale alcuni rappresentanti di spicco (avevamo da poco aderito alla Nato) continuavano a fare la spola con Mosca, sono elementi che hanno disorientato i cittadini e messo in dubbio la nostra credibilità, all’interno e all’esterno.
L’aver persino ridicolizzato e tentato di distruggere, con abili manovre culturali, persino concetti risorgimentali fondanti come quelli di Patria, dovere ed onore, hanno prodotto nel primo dopoguerra una disaffezione per le Forze Armate che, ancora oggi, non ha del tutto esaurito i suoi effetti.
I tempi sono cambiati e, con fatica, abbiamo risalito la china. Una maggiore apertura verso il pubblico, la realtà positiva e il comune apprezzamento dei nostri militari nelle missioni internazionali, la sospensione della leva, l’arruolamento femminile ed un maggior senso di responsabilità collettiva sono tutti elementi che stanno riequilibrando una situazione non simpatica, che gli uomini in uniforme avvertono e sopportano con pazienza.
E’ un equilibrio fragile, spesso aggredito da ideologie antiquate, ma persistenti. Il mondo politico in tutto questo non aiuta: si va dai sorrisi e gli applausi del due giugno alla richiesta di “provvedimenti esemplari” nei confronti del carabiniere che, aggredito, spara un colpo di pistola. Dalla buffa uniforme (forse crede che ai militari faccia piacere, non sa che ridono) del presidente del consiglio in visita in Afghanistan a tagli insostenibili nel settore dell’addestramento. Il pubblico, stupito e confuso, non capisce. O riceve un messaggio sbagliato.
Il “politicamente corretto”, così attraente ed accattivante nelle aule parlamentari e nei vertici internazionali, sul terreno, in cielo ed in mare non lo è affatto, e non funziona. Non mi dilungo sugli esempi, che sono molti e ricorrenti, dalla guerra del Golfo alla Libia, dal Kosovo all’Afghanistan. Facciamo le cose bene, ma riusciamo a dare sempre l’impressione di quelli che lanciano il sasso e nascondono la mano. Anche questo lascia perplessi i nostri cittadini.
E non parlo solo dei famigerati caveat nazionali. Cose di questo tipo sono disdicevoli, perché, l’inevitabile percezione internazionale di questo nostro tormento erode credibilità, affidabilità e pone ingiuste ombre sul generale consenso che invece si conquistano sul campo i nostri militari. Il cittadino attento se ne accorge, e i suoi dubbi aumentano.
Può talvolta accadere che il nostro intervento attivo sia stato autorizzato non tanto per il “mantenimento della pace e della sicurezza internazionale”, che non erano affatto in pericolo, ma per necessità di non rimanere isolati nell’ambito della comunità internazionale. La campagna di Libia si presta bene come “esempio perfetto”. In questo frangente i cacciabombardieri, da sempre indicati al pubblico come “cattivi” (vedi F-35), benedetti dalle nostre sinistre sono diventati improvvisamente “buoni”.
Un ritorno dei buoni sentimenti dei cittadini verso le Forze Armate effettivamente c’è, ma l’atteggiamento generale dei nostri politici, timido e discontinuo quando si tratta di agire, di certo non lo agevola. (da Quotidiano Nazionale – 2 giugno 2015 )
*Generale dell’Aeronautica Militare. Giornalista; membro del comitato direttivo dell’Istituto Affari Internazionali (IAI)