Inutile girarci intorno: la canea scaturita dall’annuncio di Rosy Bindi che ha buttato nel calderone degli impresentabili Vincenzo De Luca è un capolavoro di caos e pressapochismo dilettantistico concepito dall’incultura politica fattasi largo fin nei più profondi meandri del Partito Democratico. Ancora più grave se si pensa che dei diciassette nomi inseriti nella “lista di proscrizione”, comprendente esponenti di diverse liste, il sindaco di Salerno è l’unico rappresentante del Pd.
Con una diversa gestione della vicenda, i Democratici avrebbero potuto, senza difficoltà, a perseguire la consueta strategia di criminalizzazione degli avversari fondata su una mai accertata superiorità morale. Una delle sorgenti ideali da cui nasce il cortocircuito di queste ore è rappresentato dalla legge Severino, una modalità perversa che, sfuggendo al prudente buonsenso indispensabile quando si maneggiano i destini di incarichi istituzionali, inchioda al muro di responsabilità, non ancora certificate da una sentenza definitiva, pubblici amministratori, ma dimenticando, guarda caso, gli inquilini del Parlamento. Questo altro non è che uno dei tanti effetti diabolici, dell’antipolitica imperante. Ma, proprio accogliendo questa tesi, risulta impossibile assolvere la Politica che, già ai tempi di Tangentopoli, avrebbe dovuto armarsi di palo e piccone ed innalzare un muro invalicabile dai moralizzatori proni davanti alle velleità propagandistiche agitate dalla piazza. Così, come ben sappiamo, non è stato e, a distanza di oltre un ventennio, continuiamo a pagarne le nefaste conseguenze.
Sia chiaro, in questa storia di pessima fattura che vede tra i protagonisti un presidente del Consiglio, un candidato Pd alla guida di una Regione particolarmente importante come la Campania, e la presidente della Commissione parlamentare antimafia, nessuno è esente da colpe. Il primo, Renzi, è rimasto schiacciato da un misto di arroganza, ingenuità e debolezza perché, dopo averle provate tutte per far desistere De Luca dalla volontà di tentare la scalata allo scranno più alto dell’Esecutivo campano, si è arreso alla propria bramosia di potere lasciandosi affascinare dal desiderio di piantare un’altra bandierina sul territorio. Addirittura spingendosi nell’ultima fase della campagna elettorale a minimizzare le conseguenze concrete derivanti da una norma dello Stato, dall’inquilino di Palazzo Chigi definite “superabili”. Da parte sua, il sindaco di Salerno, rimanendo fedele al suo carattere granitico, non ha mai preso in considerazione l’opportunità politica di lasciare campo libero ai suoi avversari che, soprattutto nei mesi passati, si annidano in particolare nel suo stesso partito.
Dulcis in fundo, all’ineffabile Bindi non è parso vero di poter restituire con gli interessi gli schiaffoni subiti negli anni dal segretario-premier e, alla prima occasione utile, gli ha scagliato addosso una mina che, esplodendo, ha fatto, e farà nelle prossime settimane, accumulare macerie nel campo di battaglia del Pd. in tutto questo permane, ma ormai è prassi consolidata, la rassegnazione di doversi accontentare di un centrodestra che, passivamente, subisce impotente l’agenda politica imposta da un unico partito, dai cui giochi interni, sembrano dipendere presente e futuro della nazione.