“Strano, non si è ancora visto un manifesto-appello di intellettuali per difendere il diritto di parola di Matteo Salvini nelle piazze della Repubblica. Non sono comparsi bavagli simbolici per ricordare che a nessuno si può tappare la bocca in questo Paese”: c’è voluta la vis polemica e l’onesta intellettuale di Antonio Polito che guida un quotidiano del Sud, il Corriere del Mezzogiorno, per denunciare sul Corriere della Sera l’assordante silenzio dei santoni del politicamente corretto in merito alle violente contestazioni che sta registrando il tour elettorale di Matteo Salvini, segretario della nuova Lega nazionale.
Il nodo della questione: la libertà di opinione non si tocca
Qui non si discutono le idee del leader del carroccio tricolore, ma le modalità in cui si professa ostilità rispetto ad un avversario politico. E la questione, delicata e sostanziale, non può essere risolta con la contabilità degli agenti impiegati per garantire la logistica ad un segretario di partito in campagna elettorale. Il nodo è culturale: il diritto di parola, nel nostro sistema politico, è sacro. E consentire contromanifestazioni, picchetti, assalti ai luoghi in cui si tengono pubbliche riunioni partitiche non è una semplice disfunzione del sistema, ma crea un grave precedente e una conseguente escalation di toni e modi di confronto (non solo dialettico). Le contromanifestazioni sono sempre state organizzate, ma non a cinque metri dal leader avversario. E continuare a consentire queste gazzarre sembra un implicito invito a tornare ai vecchi tempi, ai servizi d’ordine che vigilavano sulla sicurezza di Almirante o Berlinguer. E di sfatte pratiche, chi le ha vissute, non sente davvero alcuna nostalgia…
“La cultura democratica – argomenta Polito sul Corsera – non sembra molto scossa da questo stillicidio ormai quotidiano di piccoli ma non banali attentati alla democrazia: ché tali sono i tentativi di impedire, interrompere, sabotare i comizi del leader di un partito politico regolarmente iscritto alla gara delle prossime elezioni regionali”. Sullo sfondo c’è la soddisfazione di una parte della cultura finto-buonista italiana di vedere il proprio nuovo nemico osteggiato, attaccato, messo in difficoltà, costretto a girare scortato, con l’auto danneggiata o preso a sputi. E’ un sentimento poco nobile, miserabile a dirla tutta, che anima certi ambienti e infatti viene coltivato nei cenacoli snob, l’ennesimo lancio di uova contro Salvini è salutato con sorrisi e battutine sottovoce. “E’ un fascista. Cosa pensa di meritare?”. Ecco, questa è l’ipocrisia dei democratici da rivelare, come ha fatto Polito: “Perché dunque la condanna, anche quando è ferma e sincera, non va mai oltre le solite frasi di circostanza, e quasi sempre è preceduta da una presa di distanza, del tipo «premesso che tutto mi divide dalle idee di Salvini, difendo il suo diritto a manifestarle», come fa spesso lo stesso ministro dell’Interno, confondendo il suo ruolo istituzionale con quello di diretto concorrente elettorale della Lega? Perché, in realtà, sotto sotto, in fondo in fondo, molti di noi pensano che Salvini un po’ se l’è cercata, che il suo linguaggio è troppo provocatorio, che denigra e istiga, che è irresponsabile e politicamente scorrettissimo. E invece no. Anche se fosse tutte queste cose, bisogna che ci convinciamo che il discorso politico della Lega non è fuori dal perimetro dei valori di una democrazia, e dunque ha pari dignità con tutti gli altri, e dunque è nel solo potere degli elettori censurarlo”.
I populismi in Europa ci sono. Inutile cercare di cancellarli
La riflessione di Polito, nella parte finale offre uno spunto di riflessione per i lettori di Barbadillo e riguarda l’orizzonte dei movimenti sovranisti, le affinità con altri soggetti politici europei: “Dobbiamo riconoscere che lui (Salvini ndr) e i suoi seguaci – conclude – hanno il diritto non solo di dire ciò che dicono, ma anche di pensare ciò che pensano. In molti altri paesi europei forze politiche nient’affatto eversive sostengono tesi non molto dissimili da quelle di Salvini sugli immigrati (il partito di Cameron per esempio) o sull’Europa (il movimento di Alternativa per la Germania) e a nessuno viene in testa di lanciargli contro uova e bottiglie, o di pensare che se la sono cercata. Se ragioneremo così, se consentiremo a Salvini una campagna elettorale non braccata da manipoli di agitatori sempre a caccia di presunti fascisti pur di sentirsi vivi, allora potremo anche respingere nel dibattito pubblico ciò che in Salvini non ci piace, ciò che ci preoccupa, ciò che lo rende geneticamente minoritario, per quanti voti possa prendere”.
Andare oltre il reazionarismo. La visione di Giano Accame
A corredo di questa analisi sarebbe necessario ripercorrere la lezione di Giano Accame su come la politica debba anche intercettare, nella propria fase espansiva e propositiva, uno sguardo positivo, costruttivo, solare. E qui, allo stato, la proposta di Salvini – fieramente reazionaria – non rientra nello schema che il raffinato intellettuale patriottico ha tramandato come bussola ai suoi allievi.