Chi è anti-juventino stia pure tranquillo. Lo sfizio di tifare contro, nella finale con gli alieni scesi in Catalogna, nessuno può toccarglielo. Ma nella vittoria dei bianconeri – tutta cuore e difesa, astuzia e pragmatismo, ordine e pure un pizzico di fortuna – sui Real di Spagna c’è pure una briciola di rivincita tutta italica. Almeno nel calcio. Buffon e soci chiudono le valigie e cantano “ce ne andiamo a Berlino”, (video) e si portano dal viaggio di ritorno la consapevolezza che anche se non hai centinaia di milioni che ti escono dalle tasche si può comunque provare a sfidare il destino.
E’ la vittoria di Buffon, che dodici anni dopo giocherà ancora una finale di Champions dopo il rigore di Sheva dagli occhi infuocati. Un tizio che, al netto della meravigliosa possibilità di dividersi sul tifo, ha accettato di scendere in B quando era indiscutibilmente il più forte portiere del mondo. E’ la rivincita di Allegri, la resurrezione compiuta di Pirlo, la fame di Vidal, la classe di Pogba, l’essere decisivo di Tevez. E’ anche, o soprattutto, la vittoria di Morata. Core de mamma, ha evitato di esultare in entrambe le purghe rifilate a chi l’aveva spedito in prestito. Non è bastato a buona parte del Bernabeu per evitare di sommergerlo di fischi. Lui si è offeso e ha così dimostrato – checché ne dicano i parrucconi che hanno lanciato la nuova moda: bisogna sempre esultare – che non stava zitto per paura ma perché a quel pubblico, a casa sua, dov’è nato e cresciuto, è legato. Anche se per lavoro gli tocca segnare e riprendersi la coppa dai campioni in carica.
Il pareggio è maturato con apprensione ma anche con varie chance di chiudere ogni discorso, o quasi. Cristiano Ronaldo sembrava Ibrahim Ba ai tempi belli al Milan, i galacticos avevano l’argenteria non troppo lucida e nell’infernale clima torrido di Madrid sembravano più a loro agio i fabbri che gli aedi. E se Cr7 ha raggiunto Di Stefano per gol fatti nel Real in una serata amara, il pareggio di Alvaro il madrinista ha chiuso i conti.
Verso fine gara, mentre chissà quante conorarie sono partite, s’è alzato forte l’inno d’Italia dal settore dove erano sistemati le migliaia di juventini presenti. Si può essere drughi e patrioti. E se può anche non tifare Juve ma apprezzare una squadra che ha sfoggiato soprattutto una grande personalità. Uno stile di chi non parte favorito ma azzanna vita o partite coi denti e alla fine, magari porta via pure la più carina al belloccio di turno, intento a specchiarsi troppo le sopracciglia depilate. E poi si va a Berlino, no?