Alain de Benoist, saggista e filosofo, è ben noto al pubblico italiano. Dapprima animatore del GRECE e della cosiddetta Nouvelle Droite, definizione nella quale, per la verità, non si è mai riconosciuto del tutto, ha pubblicato oltre 50 libri e più di 3000 articoli, tradotti in 15 lingue. Il suo iter speculativo, assai articolato gli ha concesso di acquisire strumenti diagnostici ed esegetici, rispetto alla modernità e ai problemi delle società contemporanee, che pochi altri studiosi del nostro tempo possono vantare. Dirige i periodici Krisis e Nouvelle Ecole. In Italia ha recentemente pubblicato per i tipi di Controcorrente, I demoni del bene. Dal Nuovo ordine morale all’ideologia di genere e, sullo stesso tema, ha tenuto una relazione al recente Convegno romano, “L’era del post umano. Tecnica, ideologia e società del XXI secolo”, organizzato dal Circolo Proudhon e dalla rivista L’intellettuale dissidente.
Su queste tematiche ci ha gentilmente concesso l’ intervista che segue per i lettori de “il Borghese”.
De Benoist Lei ha, con estrema lucidità e prima di altri, colto il senso della “crisi” contemporanea. Nelle sue ultime pubblicazioni si è soffermato sulla ideologia di genere che mira a realizzare una mutazione antropologico-culturale senza precedenti, centrata sulla negazione delle differenze sessuali, omologa alle trasformazioni in atto nei processi economico-produttivi. Può presentare, in sintesi, ai nostri lettori i tratti più inquietanti e pericolosi del gender?
La teoria del genere è una teoria che pretende che l’identità sessuale non dipenda per nulla dal sesso nel senso biologico del termine, ma solamente dai ruoli sociali attribuiti agli individui dall’educazione o dalla cultura. L’identità sessuale sarebbe il risultato di una costruzione sociale che non verrebbe affatto condizionata dal sesso biologico o dall’appartenenza sessuale. Se ne deduce che l’individuo sarebbe al momento della nascita sessualmente “neutro”: basterebbe educare un bambino come una bambina per farne effettivamente una femminuccia, o educare la bambina come un bambino, per renderla un maschietto.
Sostenere che il sesso biologico non abbia alcun rapporto con l’identità sessuale e che il genere non sia che il risultato delle tendenze acquisite attraverso la cultura, l’educazione o il contesto sociale, è evidentemente una non-verità, il sesso si decide in realtà al momento della fecondazione, ossia prima della stessa comparsa morfologica degli organi genitali nell’embrione, ciò significa che la differenza sessuale si acquisisce dai primi istanti di vita. Tale differenza non concerne, inoltre, la sola sfera genitale. Il fatto di essere maschio o femmina influenza quasi tutti gli aspetti della vita.
Ciò che si può rimproverare alla teoria del genere, non è di distinguere il sesso biologico dalla costruzione delle identità maschile e femminile, ma di ritenere che non vi sia di fatto alcun rapporto tra il primo e le seconde, e che tutto ciò che è comunemente considerato come maschile e femminile si manifesti in un “genere” distinto dal sesso biologico. La costruzione sociale è certamente onnipresente nelle società umane, ma non si realizza mai a partire dal nulla.
A suo parere le lobbies gay, del femminismo egualitario e di altre minoranze sessuali esercitano un’effettiva influenza sulla formazione del nuovo ordine morale? In che modo e con quali mezzi?
A differenza del femminismo identitario e differenzialista che privilegia innanzitutto (e non senza ragione) la difesa, la promozione e la valorizzazione della donna, il femminismo egualitario sostiene che l’eguaglianza non sarà davvero acquisita tra uomini e donne fino al momento in cui nulla lì distinguerà più veramente. La differenza viene ritenuta indissociabile dal dominio o dalla gerarchia, l’eguaglianza è così posta come sinonimo di “stessità, essere gli stessi”. Per liberarsi di tutti i rapporti di dominio, è necessario sopprimere la differenza dei sessi.
Non si agisce più soltanto per liberarsi del “patriarcato”, ma dallo stesso sesso. Monique Wittig dichiara inoltre, molto seriamente, che bisogna “distruggere politicamente, filosoficamente, simbolicamente le categorie di “uomo” e di “donna”, in quanto sono intrinsecamente “normative ed alienanti”. L’ideale posto in questi termini è quello di un essere indifferenziato. Tale ideale non sempre è espresso così crudamente come da Monique Witting: ma per l’azione delle diverse lobbies che Lei ha ricordato, è costantemente veicolato nella sfera mediatica, nello stesso momento in cui diviene la norma in molti documenti ufficiali (nei quali non ci si richiama più ai “sessi”, ma unicamente ai “generi”).
Molti sessuologi tendono a suffragare l’esistenza del “terzo” sesso, che ne pensa?
L’espressione “terzo sesso” si rivela una metafora letteraria. In senso stretto, come scritto da Michel Schneider, “non si sceglie il proprio sesso, e non ce ne sono che due”. Ci sono da una parte gli uomini e dall’altra le donne. Tale differenza di sesso è la principale distinzione della specie umana, ed è quella che consente alla specie stessa di riprodursi. I gay e le lesbiche sono anch’essi uomini e donne dal punto di vista del sesso biologico. Qualificare l’omosessualità quale “terzo sesso”, vuol dire confondere l’orientamento sessuale con il sesso (d’altronde, perché fermarsi a tre?). Esistono una pluralità di pratiche, di tendenze e di preferenze sessuali sulle quali non vi è motivo, a mio avviso, di formulare un giudizio morale, ma non ci sono che due sessi. La molteplicità delle preferenze sessuali non fa scomparire i sessi biologici e non ne aumenta di certo il numero. La tendenza sessuale, quale essa sia, non mette in discussione il corpo sessuato.
La progressiva femminilizzazione della società europea rischia di innescare, secondo accorti commentatori, delle reazioni incontrollabili, tra esse l’islamizzazione di sempre più ampi strati sociali nel nostro continente. Quale il suo giudizio su questi fenomeni?
E’ a giusto titolo che il movimento femminista ha protestato, ai suoi esordi, contro la sottovalutazione dei valori femminili propria delle società patriarcali (tale sottovalutazione si accompagnava parimenti ad una esaltazione solo teorica ed astratta della “femminilità”). Il problema è che al momento attuale, siamo precipitati nell’eccesso opposto. A causa di svariate ragioni sociologiche ed economiche, sono i valori maschili e virili ad essere stati progressivamente denigrati e sviliti. Lo stesso Stato è divenuto una sorta di Big Mother, che si consacra sempre più ai problemi gestionali, d’assistenza, sanitari ecc. Non è casuale che l’islam, religione virile per eccellenza, presenti l’Occidente moderno come una civilizzazione femminilizzata, nella quale si adorano le vittime, ma nella quale si disprezzano gli eroi!
Quali le possibili terapie per curare l’uomo “senza qualità”, il narciso unisex imposto dall’ “Impero del Bene”. Possono valere, in questo ambito, le proposte teoriche che nel lontano 1958 Julius Evola presentò in Metafisica del sesso? Grazie molte.
Julius Evola ha il merito di aver affrontato in modo esaustivo la questione dei rapporti tra il sesso e la vita sociale presentandoli in una prospettiva filosofica e metafisica, ma personalmente, non condivido le sue conclusioni. Evola non nasconde di gerarchizzare nettamente il femminile e il maschile. Egli associa il maschile a tutto ciò che considera superiore nella società (l’”ordine virile”), e riduce il femminile a ciò che è popolare o sociale (in ultima analisi, il socialismo deriverebbe a suo giudizio dalla “ginecocrazia”). Questo non è il mio parere. L’elemento maschile e l’elemento femminile sono senza dubbio differenti, ma hanno per me lo stesso valore. Una società equilibrata non può fare a meno né del primo né del secondo. (da il Borghese)