Per una sorta di superiore cinismo, o per un fiuto speciale, Messi dà l’impressione di poter essere preso, fermato, marcato, fino all’ultimo, fino a quando non ti sbilancia e lo vedi andare, superarti, e quando ti ripeti Ce la sto facendo, lo sto tenendo, ti ha già saltato, perché è il controllore del tempo successivo. A vederlo fermo trasmette senso comune e strenui paradigmi di un calcio che è, sì, al piano di sopra ma che puoi afferrare. È la sua accelerazione ondeggiante che ti sbilancia, decostruisce il difensore, che diventa un particolare, lungo il suo percorso verso la porta. Io sono quello che cade prima al Camp Nou, e poi milioni e milioni di volte, davanti agli occhi impietosi e nichilisti di chi lo guarda superarmi, di chi lo ammira mentre mi scarta, e mi deposita, in un attimo perdo tutto, lui sembra andare a sinistra, ha puntato, sembra venirmi addosso, e invece, all’ultimo, vira verso destra, e mi lascia cadere, sbilanciato nel tempo presente, mentre lui è oltre, è già tempo futuro, e poi pallonetto e gol. Io cado, sullo sfondo, ormai lontanissimo, consumato da una finta, divento un altro accessorio di identità, vado a far parte della fila di difensori che costruiscono la sua gloria, sono l’ultimo posto visto prima del gol, sono la frontiera lasciata alle spalle, e cado. La mia duttilità tattica scompare, la mia velocità si arresta, fino ad apparire il meno sveglio della mia linea difensiva, fino a sembrare un utensile. Ci siamo capiti. La mia caduta è l’altra versione del gol, quello che verrà usato come metro di giudizio, davanti agli occhi spietati di chi vede solo il cavaliere andare e vincere, e non l’altro, il fante, cadere e fermarsi. Per tutta la partita ho conservato la memoria dello scampato pericolo, tutto il tempo in bilico sul burrone delle sue finte, e quando sembrava che tutto fosse andato bene, sono caduto: alla gloria, al pallone, all’ingrediente alchemico delle sue gambe.
Il miracolo non poteva durare, ma la sua eresia è diventata dribbling, e io, vittima, cado. Apparendo nella mia opacità di difensore senza creatività, indifeso, ottuso, stavo marcando quello che è immarcabile, apparendo con lo stile dei lampioni di ferro a bordo strada, io umano, troppo umano, per questo cado. Eppure avevo studiato i suoi gesti, conoscevo i segni, ma sono finito travolto dall’alfabeto di stupore che è Lionel Messi, una epifania, lo vedi e poi no, e nell’esito di un momento – fa finta di andare a sinistra, avanza, poi, no, vira a destra, e se ne va – sono diventato il margine catastrofico di un birillo che cade, la realizzazione di un karma calcistico, un difensore nella memoria di tutti bollato come l’inutile, e io sono o forse ero, perché niente sarà più come prima: Jérôme Agyenim Boateng. (da Il Napolista)