Tre SuperClasicos in 11 giorni. Un inferno di ansia, tifo e desiderio di spadroneggiare sui rivali di sempre portato all’ennesima potenza. Il primo atto, che oltretutto valeva per il momentaneo primato in questa stramba nuova Primera Division a 30 squadre, se lo aggiudica il Boca Juniors nel suo tempio, La Bombonera, grazie a due gol negli ultimi 5 minuti di gara. I prossimi due, invece, varranno l’accesso ai quarti di finale della Copa Libertadores.
Boca-River. Impossibile spiegare cos’è il SuperClasico. Sarebbe ingeneroso anche solo ridurla a semplice partita di calcio, o a “semplice” stracittadina. Boca-River è tutto : è il tango più intenso, magari sulle note di Astor Piazzolla. È il più bel racconto scritto da Osvaldo Soriano durante la notte tra decine di sigarette; è l’asado più succoso e la Quilmes più fresca. È il derby più classico non solo di Buenos Aires ma di tutta l’Argentina e forse anche di tutto il Sud-America, nonché una delle più importanti del mondo intero, al quale è stato aggiunto il prefisso Super per distinguerla dalle altre, oltre a sottintendere il ricco palmares dei due club. È Xeneixes contro Millonarios, azul y oro contro El equipo de la banda roja, è la Buenos Aires proletaria contro quella aristocratica, è la Doce contro Los Borrachos del Tablon, la Bombonera contro il Monumental, Bosteros contro Gallinas. Maradona contro Mario Kempes, Varallo contro Di Stefano, Riquelme contro Gallardo, Batistuta contro Passerella, Martin Palermo contro Ortega. Stili di fare calcio, storie, successi e sconfitte che si intrecciano da più di un secolo, in una sfida eterna.
Le origini. La particolarità di questa sfida comincia sin dalla genesi delle due compagini, entrambe nate nel popolare Barrio de La Boca, da immigrati genovesi, e dalle singolari storie che si celano dietro i rispettivi nomi e colori. Ad esempio, si narra che il River Plate debba il suo nome alla trasposizione in inglese di Rio de la Plata, destinazione di alcune casse ammassate nella darsena del porto di Boca, vicino le quali stavano giocando a calcio dei marinai inglesi (i pionieri del football). Uno dei fondatori della squadra fino a quel momento senza un nome li vide giocare, poi notò le casse vicino e si innamorò del nome. Era il 1901, e ancora non avevano idea che il River sarebbe poi diventato la squadra dell’elegante Barrio Palermo. Sui colori invece, nessun dubbio : il bianco ed il rosso della bandiera di Genova, lontana terra natìa.
Dubbi che invece attanagliarono, e non poco, alcuni ragazzi di origine genovese e lucana (non a caso si dice in Basilicata che il Boca sia la squadra lucana più importante al mondo) solo quattro anni più tardi. Era nell’autunno australe, e i ragazzi stavano decidendo animatamente quale dovesse essere il colore di quella che un giorno sarebbe diventata una delle squadre più titolate al mondo. Avevano già il nome, quello del quartiere, a cui avevano aggiunto il suffisso Juniors per dare un’impronta britannica alla squadra, come voleva la moda dell’epoca, ma mancava il colore. Uno di loro lanciò l’idea di andare al porto e guardare i colori della bandiera della prima nave che avrebbe attraversato la bocca del fiume. Quelli sarebbero stati i colori sociali. La prima che entrò nel porto, lenta e regale, fu la Drottling Sophia, la “Regina Sophia”, alla cui poppa battevano i colori gialloblu della bandiera svedese. Da allora, quindi, il giallo ed il blu divennero anche quelli degli Xeneizes (ovvero genovesi, nella lingua della Superba pesantemente influenzata dal castellano d’Argentina, nonostante l’origine a metà con i lucani).
Gocce di storia. Il River Plate deve il suo soprannome, “Los Millonarios”, ad alcuni acquisti costosissimi fatti dal presidente dell’epoca, Antonio Vespuci Liberti, che attirarono così tanta gente da rendersi necessaria la costruzione di uno stadio molto più capiente di quello dell’epoca. Così Liberti acquistò un terreno al barrio Núñez sul quale fu costruito El Monumental, oggi a lui dedicato. Fu lì che il River Plate abbandonò la propria veste popolare che gli veniva dal quartiere di Boca, per diventare la squadra dell’aristocrazia di Buenos Aires. Quella elegante, affascinante e ambiziosa, che in campo trovava piena espressione ne La Máquina, quel River che negli anni quaranta monopolizzò il calcio argentino con uno stile altamente offensivo, che prevedeva addirittura 5 attaccanti. Qualche anno dopo vestirono la maglia biancorossa Di Stefano e poi Sivori, interpreti di un calcio elegante e fortissimo, proprio come un quartiere o uno stile di vita inarrivabile per i barrios popolari.
Al contrario di Maradona, in cui la gente cresciuta nella “Republica Libera de Boca” ci si rispecchia in pieno : uno di loro, cresciuto per la strada, a cui la vita ha dato un giro di carte tutto sommato mediocre. Eppure lui con quel mazzo riesce a vincere l’intera mano. Lui è la gente di Boca, fatta di teste calde, ma anche viscerale, caparbia e di cuore. Come Martin Palermo e Riquelme, i gemelli Barros Schelotto ma anche Hugo Gatti, il portiere indio che prima di vestire la casacca azul y oro aveva giocato nelle odiate Gallinas, verso cui i tifosi boquisti ogni volta lanciavano di tutto. Una volta gli venne lanciata addirittura una scopa, e lui pensò bene di mettersi a spazzare l’area di rigore. Da allora divenne un idolo.
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La partita. Ieri si è giocato il primo di questi tre SuperClasicos ravvicinati. Il primo dopo quello del precampionato, dove sul campo neutro di Mendoza nel tradizionale Torneo de Verano, gli Xeneixes hanno seppellito di gol i cugini Millonarios per 5-0.
Sospinto da una Bombonera completamente gialloblu, per via del divieto imposto ai tifosi del River, parte subito forte il Boca di Arruabarrena, che al 9’ sfiora il vantaggio con Osvaldo, il cui diagonale si stampa sul palo alla destra di Barovero. Il palo ha il merito di risvegliare il River, e così Gallardo decide di alzare il baricentro della sua squadra, che torna così temibile, tanto da pareggiare il conto dei legni colpiti con Sanchez il quale, servito dal colombiano Gutierrez, lascia partire un destro che si stampa sulla traversa, gelando per un attimo La Bombonera. Il primo tempo si chiude sullo 0-0, nella più classica delle partite argentine, ruvida e piena di falli.
Nella ripresa i ritmi sono molto meno intensi del primo tempo, e la partita si decide sui cambi. Nel River entrano Cavenaghi e Martinez, mentre nel Boca dentro l’ex romanista Gago, e soprattutto Pavon e Perez. E sono proprio loro a spaccare la partita : all‘ 84’, dopo una serie di batti e ribatti in area, arriva Pavon il quale, con un piatto destro mette in rete il gol dell’1-0, facendo esplodere di gioia lo stadio. Una serata memorabile per il talentuoso diciannovenne, in gol al suo primo Boca-River, e alla sua quarta apparizione con la squadra dei grandi. Due minuti più tardi Perez , sul filo del fuorigioco, si inventa un colpo di tacco respinto inizialmente da Barovero, il quale però non può nulla sulla ribattuta, che significa il 2-0 e l’estasi del Templio Boquista.
Al triplice fischio è festa per la squadra di Arruabarrena, ancora imbattuti nel 2015: dopo 11 giornate si portano in vetta a 27 punti, seguito a 24 proprio dal River e dal San Lorenzo, campione continentale uscente. Al triplice fischio, però, l’ansia e l’adrenalina non si sono esaurite affatto : giovedì sarà di nuovo SuperClasico, stavolta in un Monumental che si prospetta caldissimo, per l’andata degli ottavi di Libertadores. Il 14 maggio ci sarà l’atto conclusivo. Il River può rifarsi, il Boca confermarsi. Almeno per il 2015. Dall’anno prossimo si scriveranno altri capitoli, di questa sfida perpetua fatta di pueblo y carnaval.