Ci sono i miliziani dell’Isis, che distruggono le antiche città assire e i reperti archeologici pre-maomettani. Ci sono i talebani afghani che tirano giù a colpi di dinamite le statue dei buddha di Bamiyan. E poi ci sono i tribunali spagnoli che ordinano alle autorità amministrative di abbattere i simboli del vecchio regime franchista. Non che si possa mettere tutti sullo stesso piano, è ovvio. Se non altro perché da un punto di vista artistico, storico e archeologico le opere non sono assolutamente confrontabili. E il monumento a Onésimo Redondo nei pressi di Valladolid, ultimo esempio della tendenza iconoclasta delle autorità iberiche, oltre che recente (risale al 1961), ahimè, è senza dubbio bruttarello e di scarso valore culturale. Verrà rimosso dalla collina di San Cristòbal e pochi lo rimpiangeranno. Di certo nessuno lo difenderà, a parte i pochi nostalgici che ancora si riuniscono intorno ai simboli della vecchia Falange.
Eppure, malgrado ciò, l’idea che ci sia qualcuno – politico, magistrato o semplice fanatico della jihad – che si arroghi il diritto di cancellare arbitrariamente un pezzo di storia nazionale, di qualsiasi nazione si tratti, mette i brividi. Anche perché in Italia, nelle scorse settimane, abbiamo assistito a simili conati di iconoclastia talebana. Giunti peraltro dalla terza carica dello Stato, non dal primo black bloc pirla che distrugge Milano.
Ecco allora che persino il brutto monumento dedicato al politico, sindacalista e combattente, uno dei fondatori delle Juntas nacionales de ofensiva nacional-sindicalista, colonna dorsale del movimento falangista di Josè Antonio Primo de Rivera, assume un significato di civiltà che va al di là della parte politica. Perché è ovvio che se passasse la concezione distruttiva dei talebani musulmani e non (ci sono anche talebani “democratici”, a quanto pare), sarebbe l’intera nostra civiltà ad essere messa in forse. Se venisse accettato il principio che si può distruggere ogni edificio, monumento, opera d’arte e libro – perché no? – proveniente da un passato politicamente scomodo agli attuali governi, mezza Europa finirebbe al macero.
I costi della crociata iconoclasta
Fra parentesi l’opera di cancellazione della storia, ordinata dal Tribunale Superiore di Giustizia, costerà alla giunta regionale di Castilla y Leòn e al Comune di Valladolid più di 100 mila euro. Ma la crociata per la “pulizia storica” ordinata dai giudici spagnoli non si esaurisce qui. Sempre a Valladolid, evidentemente città un po’ troppo lenta a recepire le nuove direttive di riscrittura della toponomastica, è stato stilato un elenco di dodici vie, ponti e opere pubbliche che fanno riferimento al franchismo o alla guerra civile e dovranno essere ribattezzate in ossequio alla correttezza politica. Chissà se qualche toga democratica ha già pensato di cambiare il nome anche al vicino Comune di Quintanilla de Onésimo, un paesino di mezza montagna di poco più di mille abitanti così chiamato in onore del suo figlio più illustre?