Ci aspettavamo francamente qualcosa di più e di meglio che la “nostalgica” rievocazione del Settantesimo anniversario del 25 aprile, vista alla Camera dei deputati e conclusasi con il “Bella ciao”, l’inno della lotta partigiana, cantato a squarciagola dalla Presidente Laura Boldrini. La retorica è un veleno micidiale ed è difficile uscirne immuni, quando non si hanno i “fondamentali” per confrontarsi con avvenimenti di portata storica.
Non solo gli anni trascorsi e le stesse contingenze politiche avrebbero richiesto maggiore spirito critico (l’appello alla Costituzione e all’attuale sistema politico, “figli” della Resistenza, sono stati due autentici auto goal). In un mondo, scandito da twitter, dove è difficile andare oltre le due righe “di approfondimento” (impagabile per profondità il “cinguettio” sul tema della Ministro Elena Boschi: “Grazie a chi allora lottò per il nostro futuro”) almeno alle massime cariche dello Stato qualcosa di più e di meglio, che uno stanco e scontato appello resistenziale ci aspettavamo di ascoltarlo.
Luciano Violante, ex Pci, da Presidente della Camera, nel 1996, durante il suo discorso d’investitura, era arrivato a dire che bisognava sforzarsi di capire le ragioni per cui tanti ragazzi e ragazze scelsero di arruolarsi nella Repubblica di Salò. Nel 2002 Carlo Azeglio Ciampi, allora Presidente della Repubblica, pur sottolineando il loro “errore” di campo, aveva riconosciuto che i giovani della Rsi erano stati animati da un sentimento di unità nazionale, “credendo di servire ugualmente l’onore della propria patria”.
Sia le parole di Ciampi che quelle di Violante non erano solo espressioni di una volontà di “pacificazione”, magari dettata da opportunità politica. Erano giudizi “di fatto”, sostenuti, più o meno consapevolmente, da una ricca letteratura in materia e da una storiografia, non certo di parte, che, a partire dagli Anni Novanta del ‘900, aveva affrontato il tema, “sine ira et studio”, arrivando ad una serie di conclusioni tutt’altro che banali ed in controtendenza rispetto alla vulgata resistenziale: a prevalere, nel periodo 1943 – 1945, fu la grande “zona grigia” degli italiani alla finestra, in attesa della fine delle ostilità (Renzo De Felice, Rosso e Nero, Baldini & Castoldi, Milano 1995); comunismo e fascismo erano “ombre del passato” contro cui era ormai inutile scagliarsi (Augusto Del Noce, Fascismo e antifascismo, Leonardo, Milano 1995); la costruzione del mito resistenziale era finalizzata ad assolvere gli italiani dalla “colpa” di essere stati fascisti e di essere scesi in guerra a fianco della Germania di Hitler (Romolo Gobbi, Il mito della Resistenza, Rizzoli, Milano 1992); il 25 aprile era stata un’“occasione mancata” , che ha lasciato irrisolti i “nodi” della nostra storia nazionale (Gianni Oliva, Le tre Italie del 1943 – Chi ha veramente combattuto la guerra civile, Mondadori, Milano 2004); la Resistenza aveva subito una censura di parte, finalizzata ad affermarne il suo uso politico (Ugo Finetti, La Resistenza cancellata, Edizioni Ares, Milano 2003); la guerra civile è una categoria “cronica” della Storia italiana, dal 1919 agli Anni Novanta del ‘900 (Virgilio Ilari, Guerra civile, Ideazione Editrice, Roma 2001); bisognava superare finalmente la distinzione, a prescindere, tra “reprobi” (i fascisti) ed “eletti” (gli antifascisti) valutando i comportamenti individuali, (Carlo Mazzantini, L’ultimo repubblichino, Marsilio, Venezia 2005); era tempo di arrivare ad una corretta ricostruzione dei fatti (Giampaolo Pansa, Il sangue dei vinti – Quello che accadde in Italia dopo il 25 aprile, Sperling & Kupfer, Milano 2003).
Pur nella sintesi di queste righe non sono pochi – come si vede – gli argomenti che, testi alla mano, avrebbero potuto dare sostanza all’ anniversario del 25 aprile, celebrato, in pompa magna, alla Camera ed in via di celebrazione in ogni contrada d’Italia. Al fondo la necessità di riaprire un confronto serio su uno dei periodi più drammatici della nostra Storia nazionale, scindendo finalmente questioni storico-interpretative e convenienze-separatezze politiche.
Come scrisse, nel trentesimo anniversario del 25 aprile, lo storico, d’estrazione liberale, Rosario Romeo “ … un paese idealmente separato dal proprio passato, è un paese in crisi di identità e dunque potenzialmente disponibile, senza valori da cui trarre ispirazione e senza quel sentimento di fiducia in se stesso che nasce dalla coscienza di uno svolgimento coerente in cui il passato si pone come premessa e garanzia del futuro”.
Dopo tanti anni siamo ancora lì, con gli stessi problemi di “separatezza”, di identità e di fiducia. E non saranno purtroppo le “canzonette”, intonate dalla Presidente della Camera, a sanare quelle ferite, spirituali e fisiche, ancora aperte nella nostra memoria nazionale.