Un paese dilaniato dalla guerra tra fratelli. Le barricate che li dividono. Questa è l’Ucraina da quasi un anno. Ad Est le popolazioni russofone di Donetsk e di Luhansk, che chiedono l’indipendenza da Kiev, e l’avvicinamento a Mosca. Dall’altra le truppe fedeli al Governo ucraino, riformato in seguito alla cacciata dell’ex premier Yanukovyc, nel novembre 2013. Eppure la Storia insegna a non interpretare mai univocamente la guerra civile. Questa non è sempre un confronto tra buoni e cattivi, repressori e combattenti per la libertà.
Per comrpendere da dove è scaturita la guerra e perché, un contribuito importante arriva da Mykola Azarov, leader del Partito delle Regioni, nonché premier ucraino durante le rivolte all’Euromaidan. Durante un’intervista rilasciata a Il Giornale, Azarov racconta di come, prima dell’inizio della rivolta, il governo statunitense avesse fatto direttamente pressione, chiedendo la stipula dell’accordo commerciale con l’Unione Europea, e la formazione di un nuovo governo di unità nazionale, che accontentasse anche gli anti-russi. Naturalmente, le proteste andarono avanti. Azarov, costretto alle dimissioni, abbandonò il Paese, rifugiandosi in Russia.
Ecco alcuni passi dell’intervista
Signor Azarov, il giudizio dell’opinione pubblica europea resta confuso e diviso. Fu rivoluzione di popolo o colpo di stato?
«Guardi, durante i miei tre anni di governo avevamo tenuto l’Ucraina su una linea di buon vicinato sia con la Russia che con l’Unione Europea. Questa equidistanza non era gradita agli Stati Uniti d’America che volevano si tornasse alla politica del precedente governo di dichiarata ostilità alla Russia. Questa irritazione, e le conseguenti pressioni, l’abbiamo percepita fin da quando siamo andati al governo».
Lei personalmente subì pressioni in tal senso?
«Quando noi ci rendemmo indisponibili a sottoscrivere così come ci erano stati presentati gli accordi con l’Unione Europea, accaddero due cose contemporaneamente».
Cioè?
«Da una parte incominciarono occupazioni di uffici pubblici da parte di manifestanti spuntati dal nulla, dall’altra una incredibile e arrogante ingerenza da parte degli Stati Uniti negli affari interni di uno Stato sovrano. Venne da me la consigliera diplomatica del presidente Obama, Victoria Nuland, a pormi una sorta di ultimatum: o accettavo di formare un nuovo governo di unità nazionale che accontentasse gli anti russi oppure l’America non sarebbe stata a guardare».
E lei cosa rispose?
«Che il mio governo era stato eletto democraticamente e che aveva superato ben due voti di fiducia. Le dissi chiaramente che la politica dell’Ucraina era nelle mani del popolo ucraino e che lei non doveva permettersi di usare quei toni con il suo legittimo rappresentante».
Eppure, stando alle immagini televisive rimbalzate in tutto il mondo, la protesta contro di voi stava montando.
«Quella di concentrare una massa di persone attorno al palazzo del potere o nella piazza simbolo di una capitale, è una tecnica collaudata delle cosiddette rivoluzioni arancioni. In quei giorni avevamo in mano sondaggi secondo i quali la maggioranza del popolo ucraino appoggiava convintamente la linea del governo. Del resto bastava spostarsi poche centinaia di metri dalla piazza occupata per verificare come a Kiev la vita procedesse in modo assolutamente normale e che altre manifestazioni, di segno opposto, avvenivano in modo spontaneo un po’ ovunque nel Paese».
Secondo voi, chi alimentava la pressione della piazza?
«In quei giorni noi avevamo il controllo completo di ciò che stava accadendo. I nostri servizi segreti avevano infiltrato uomini tra i manifestanti e avemmo le prove che la piazza prendeva ordini dagli americani, che il quartier generale della protesta era nell’ambasciata Usa a Kiev, la quale provvedeva anche a finanziare in modo importante la rivolta».