Angelina Jolie si farà togliere le ovaie per ingannare il tumore. Scelta personalissima su un tema delicatissimo – come la malattia – su cui non c’è nulla da sindacare. Presa dalla sua interpretazione del ruolo di stella hollywoodiana, la Jolie ha voluto avviare un dibattito pubblico sulla sua condizione e sulla sua scelta a due anni di distanza dall’asportazione del seno, decisa per lo stesso identico motivo. Lei, sia chiaro, il tumore non ce l’ha ma lo teme. La tenzone contrappone i soliti paladini della libertà di disposizione del proprio corpo ai consueti generali dell’intangibilità sacrale dello stesso. Non entreremo però in questo aspetto del dibattito, non fosse altro per il rispetto dovuto a chi con la malattia deve (o ha dovuto) davvero farci i conti.
La Jolie presenterebbe la mutazione di un gene che la porterebbe ad avere l’87% di possibilità di sviluppare un cancro al seno e il 50% di un tumore alle ovaie. La storia clinica della sua famiglia è purtroppo costellata di lutti e malattie. La scelta di intervenire, invasivamente e senza motivi che non siano da ricercare nella mera prevenzione (per quanto fondamentale in questo campo) può essere legittima o meno. Tuttavia una sola considerazione, per quanto cervellotica e pensosa, va fatta: la stupenda Jolie, superba incarnazione di un mito come Lara Croft – icona quasi più erotica che videoludica – diventerà, grazie ai progressi della scienza medica, una donna bionica.
Centocinque anni fa, a Parigi, Filippo Tommaso Marinetti immaginò in Mafarka il sogno dell’uomo alato, fonte di nuova vita, spietata, al di là degli angusti limiti umani del bene e del male. Dando alla luce il mostruoso e stupendo “figlio” meccanico Gazurmah, Mafarka si immola al sogno sferragliante della manifestazione potente di una volontà di potenza finalizzata al mito dell’uomo nuovo che in quegli anni andava per la maggiore. La metafora è lapalissiana: la tecnologia dovrà consentire ai coraggiosi, a chi è disposto a tutti i sacrifici, di cambiare il tratto stesso della propria esistenza potenziandone in maniera esponenziale capacità e talenti. Tentando una banalizzazione estrema, l’uomo che diventa bionico per ottenere i superpoteri, aumentando “qualitativamente” la sua esistenza.
Angelina Jolie, invece, sarà costretta ad affidare il suo corpo alla tecnologia spinta dal legittimo, comprensibile e condivisibilissimo desiderio – umanissimo – di fare sberleffi alla malattia. Addirittura prima che questa decida di attaccarla o meno. La statistica, vera regina delle scienze in Occidente, la dice più o meno spacciata. La Jolie non darà alla luce il tremendo Gazurmah ma tenterà di spernacchiare l’incombere del tumore. Siamo dalla sua parte: chi beffa la morte merita sempre un devoto ghigno di sorniona ammirazione. Ritornando alla banalizzazione estrema di cui prima, la Jolie diventerà la donna bionica per mantenersi nello stato di salute attuale, aumentando “quantitativamente” la sua esistenza.
Tra Mafarka e la coraggiosa Jolie – vicenda umana che assurge a paradigma anche culturale per il fatto che è stata lei stessa ad avviare un pubblico dibattito sulla sua scelta in America – c’è una distanza enorme che non è tanto negli effetti quanto nelle motivazioni, nella causa alla base di scelte drastiche che, come tali, vanno registrate evitando commentari da bar o da spensierato salotto chic. Il re africano è il sogno futurista di Marinetti che spera nell’evoluzione della tecnologia per la costruzione di una nuova umanità affrancata dai limiti di una certa morale umana; il sacrificio della sfortunata attrice è finalizzato al continuare a godere di buona salute. L’evoluzione dello spirito e della cultura occidentale, metaforicamente, è tutta qui: ieri c’era chi voleva abbattere i limiti dell’uomo, oggi si cerca solo un modo per vincere la paura.