Separate alla nascita, dunque, la Croce di Mosul – strappata dagli assassini dell’Isis, in Iraq – e quella di Bologna. Una attesta il martirio, l’altra il delirio. Al Cassero, il circolo degli omosessuali di Bologna, del sacro Legno se n’è fatto un sex-toy. E’ successo alla festa del “venerdì credici” – un raduno di sbattezzo, in piena Quaresima – ed è stato un tableau vivant inteso come una citazione di Charlie Hebdo. A conferma dell’identità d’Occidente: la libertà di violare ogni violabile.
La prima Croce, quindi – sul campanile della Chiesa di San Giorgio – è stata sovrastata dalla bandiera nera del Califfo. La seconda, invece, è stata impugnata da un poverocristo travestito da Cristo per scavare le natiche di un tale – corone di spine in testa – camuffato da testimone del Golgota. La prima scena, avvalorando lo scontro di civiltà, ha guadagnato le prime pagine dei giornali. La seconda, evocando la complicità in automatico col gender-correct imperante, in ragione di un riflesso più che condizionato ha avuto una ribalta più modesta.
La Croce, ovviamente, non teme nessuna blasfemia. Ogni Bismillah ir-Rahman ir-Rahim è più forte di qualunque corno del più cornuto dei Satana ma tra Mosul e Bologna – nella digestione delle immagini cui siamo costretti – si consuma la libertà di violare ogni violabile. Ogni reazione – in tema di omosessuali, specie se militanti – è invalidata da soggezione.
Separate alla nascita, dunque, ma con destini opposti le due Croci. Il nemico fondamentalista che calpesta la prima per quel gesto si guadagna il totale disprezzo; i tapini in festa che ne fanno solo colore, invece (oltretutto ospiti di una conventicola che beneficia di fondi pubblici), fanno strame di quel Cristo avendo la certezza di un invincibile altolà. Un fermo là che deriva loro dalla conclamata impunità di tenere il manico del coltello con cui si viola ogni violabile. La famosa reciprocità, in tema di gender-correct, non può darsi. Per ogni Croce ridotta al rango di vibratore non può esserci – in reazione, invalidata dalla soggezione – la più flebile delle proteste.
Certo, non sono assassini gli ospiti de Il Cassero, sono dei bravi figli. E però hanno la sfrontatezza dei mafiosi. Hanno la prepotenza clanica di chi può sputare in faccia a chiunque, perfino al Legno, spacciando poi la propria bava per profumo. Intoccabili dell’unica casta superiore su cui non è consentita critica, sono fatti forti di un imperativo categorico. Quello di un totem contro cui non si volge il violare di ogni violabile perché la lama – la lama di quel coltello, lo Spirito del Tempo – è cosa loro: il fondamentalismo omosessualista.
Certo, non fanno stragi di vite umane i gender-correct. Fanno però mafia. Nell’imperio dell’irresistibile, intimidiscono. Così che ogni cretino del villaggio vip si piega al loro totem accogliendone faida e vendetta. Come nel caso Barilla – il Mulino Bianco della famiglia tradizionale – minacciato di fallimento, sull’onda del boycott-Barilla; come appena qualche giorno fa è accaduto a Dolce & Gabbana.
I due sarti, a seguito di un’intervista di Terri Marocco su Panorama, scopertosi tradizionali in tema di figli, pur omosessuali, sono stati subito pestati da Elton John. Un sabba mediatico tutto di altolà dai risultati comici se Ornella Vanoni, per testimoniare indignazione, ha dato via il proprio cappotto D&G di cincillà regalandolo al barbone sotto casa. Inconsapevole strumento così, la signora Vanoni, di un’astuzia propria dell’Inviolato: la Misericordia. Come a Mosul, così a Bologna. *Da Il Fatto Quotidiano