Magari sarà vero, la piazza di Matteo Salvini leggerà poco, anche se – di rigore – questo è un dato tutto ancora da dimostrare. Ma titoli e libri non sono mai un’arma scarica, soprattutto se branditi al cielo. Lo sapeva benissimo Francois Mitterand che nel ritratto ufficiale da presidente fece inserire a futura memoria gli Essais del moralista Montaigne. E questo è solo un esempio di qualifica libresca. Venendo al presente, non può sfuggire il catalogo dei libri di testo da rendere obbligatori, da nord a sud, nelle scuole secondo Salvini. Ecco, li ha tirati fuori durante il comizio di chiusura della manifestazione romana anti Renzi, una sorta di segnaletica.
Strana guerra quella tra i due Matteo: chi leggerà di più? Magari il problema di Salvini è che forse ha letto per troppo tempo testi che non passeranno sicuramente tra i grandi classici del pensiero politico. Le cronache della conversione mariana di Paolo Brosio non lo sono di certo. Si tratta, per lo meno, di un altro genere. Insomma, se nulla è casuale, dietro lo sfoggio cultural-muscolare del segretario leghista c’è sicuramente la mappatura dei confini della nuova formazione gialloblu.
Si parte con La Masseria delle allodole di Antonia Arslan, romanzo incentrato sulla strage degli armeni. Il segnale politico è il no alla Turchia nell’Unione. Un modo per solleticare la pancia dei tanti indipendentisti d’Italia e non, bacino storico del Carroccio. E mentre in Veneto la partita è sul futuro di Flavio Tosi, sindaco di Verona, Salvini tira in ballo Marco Paolini, Mauro Corona e la tragedia del Vajont. Una freccia di Cupido su di un territorio imprescindibile per gli assetti padani. Fin qui i confini classici dell’immaginario lumbard sono intatti.
Lo sfondamento è destra è sulla necessità di riscrivere tutti i testi di storia senza omettere il dramma delle foibe e degli esuli istriani e dalmata. E scatta l’applauso di quei tanti che, orfani di partito e rappresentanza, vedono in quello che sempre più viene chiamato il “capitano” (forse è presto rispolverare Codreanu, sic!) un nuovo, se non duce, almeno leader elettorale. In attesa di tutto questo, molti di loro hanno già preso il treno e l’aereo per venire ad ascoltarlo nell’inedita piazza di Roma.
Ma sulla Fallaci, Salvini, non intende cedere. Piace a lui, piace ai neocon, piace pure ai tanti islamofobi di più riti e chiese. Allo stesso tempo però, la figura ispirata della scrittrice fiorentina non è gradita ai tanti altri con cui lui stesso intendono dialogare. E non e un mistero. E se non si butta via nulla, Un uomo, il racconto «anticonformista della vicenda di Alexandros Panagulis», diventa il libro mastro dell’immaginario salviniano.
Infine c’è da dialogare con il mondo cattolico, un’area vasta. E infatti sono due le icone tirate in gioco. C’è don Luigi Sturzo, siciliano, fondatore del Partito Popolare e il suo Appello ai liberi e forti. Una furbata, forse. Ma anche il giusto riconoscimento che sul tema delle autonomie locali si parte proprio da lui e dal suo genio politico. Intanto i vecchi arnesi della Dc, o dell’Mpa di Raffaele Lombardo, si sono sentiti così legittimati a stare dentro un progetto ancora tutto da costruire. Non ha problemi Angelo Attaguile, segretario nazionale di Noi, a rivendicare con orgoglio di aver fatto scuola tra sturziani e morotei. In fine spunta don Lorenzo Milani, il controverso autore di Lettera a una professoressa. Un vero e proprio mito per i cosiddetti cattocomunisti. Un toscano proprio come Renzi, anzi, il maestro di quel modo di declinare la politica in versione scoutista e decisamente di centrosinistra.
Non è che Salvini, oltre a dialogare con Sovranità e CasaPound stia già aprendo le porte ai delusi del nuovo corso rottamatore? Ingenuo escluderlo. Intanto, c’è da registrare la delusione di chi sperava che dal palco venisse citato almeno uno tra Pietrangelo Buttafuoco, Alain De Benoist e, guardando al mondo neomarxista, Diego Fusaro. Forse ci sarà tempo. Intanto Salvini cala le carte e gioca a viso aperto. A conti fatti, il progetto nazionale della Lega 2.0 ha già nel nome una nomenclatura inclusiva: Noi appunto.
In altri termini c’è il benvenuto a tutti, dai piccoli ai grandi, dai giovani ai riciclati, dagli anticonformisti agli ingessati, fino ai fanatici della sicurezza a tutti i costi. Qualcuno se ne faccia una ragione. Senza questi l’opa sul centrodestra sarebbe un tentativo carnascialesco. Ed è giusto appuntarlo nel taccuino, sed cum studio et sine ira. E’ chiaro che un discorso di nicchia non ha diritto di cittadinanza nel manuale della politica che conta. Intanto il messaggio neopadano ad extra è roba sofisticata e da libreria. Lo dice Salvini. L’invito ai lettori è dunque prendere, lasciare oppure rischiare. In attesa ovviamente di nuovi testi di riferimento che forse, però, sono già in uscita.