Gioca a rugby da quando era bambino e oggi, nella sala motori del pacchetto di mischia di ItalRugby, c’è lui a spingere con la sua formidabile energia. È un giovanotto di 196 cm e 112 kg. Marco Bortolami, padovano, classe 1980, è sceso in campo per l’Italia 111 volte, l’ultima contro l’Inghilterra a Twickenham lo scorso 14 febbraio.
Ha esordito a 20 anni e ancora oggi è una presenza certa e “ingombrante”, per gli avversari, della nostra formazione. Quando non è in maglia azzurra guida le Zebre di Parma. È uno dei pochi italiani ad aver vestito la divisa dei Barbarians, la selezione a invito dei migliori giocatori del mondo. Sulle sue vicende sportive ha scritto un libro, “Vita da capitano”.
Il 1 febbraio 2014 a Cardiff, nell’incontro di apertura del Sei Nazioni contro il Galles, Bortolami totalizzò la sua centesima presenza internazionale, quinto italiano a raggiungere tale traguardo dopo, nell’ordine, Alessandro Troncon, Andrea Lo Cicero, Sergio Parisse e Martín Castrogiovanni.
Nel 2004 si trasferì in Francia, al Narbona, e nel 2006 è arrivato l’ingaggio da parte degli inglesi del Gloucester, dei quali è stato anche capitano nel corso della stagione 2007-‘08.
“Ho cominciato a 10 anni: mio padre è stato un giocatore e andavo spesso con lui a vedere la squadra della mia città: è stato inevitabile per me appassionami – ci racconta -. Il mio sogno era ed è diventare meccanico della Ferrari, ovviamente dopo la carriera sportiva. Sono iscritto a ingegneria meccanica e mi sto impegnando per terminare gli studi, nonostante la pratica agonistica del rugby e il ‘mestiere’ di padre”.
In cosa il rugby è diverso dagli altri sport?
“È una disciplina molto fisica, dura, ma dove il rispetto delle regole è fondamentale. Anche il selfcontrol è importantissimo per non commettere falli. Inoltre, il rispetto per le decisioni arbitrali non esaspera mai la situazione in maniera negativa”.
Fair play quindi…
“Rispetto delle regole e del proprio avversario. Giocare al proprio meglio, in maniera anche molto decisa, ma mai in modo scorretto o sleale. Cercare di dare il massimo, sapendo che la vittoria più grande è arrivare a esprimere pienamente le proprie potenzialità. La correttezza e il fair play che si vedono in campo sono replicati sugli spalti”.
In questo si inserisce anche il cosiddetto terzo tempo?
“È il momento in cui le due squadre si siedono allo stesso tavolo per la cena post gara, spogliandosi dei propri ruoli e colori, scambiandosi impressioni ed esperienze da persone normali. Questo permette di sentirsi tutti allo stesso livello, di conoscersi al di là della propria estrazione o provenienza culturale. Un momento di condivisione pura e semplice”.
Il momento più bello della sua carriera?
“Sicuramente la mia prima partita da capitano, all’età di 21 anni, in Nuova Zelanda contro gli All Blacks. Quel giorno divenni il più giovane capitano della storia e marcai anche la mia prima meta in Nazionale… Un sogno che diventava realtà!”.
A proposito di sogni…uno per il futuro?
“Partecipare alla mia quarta Coppa del mondo in Inghilterra, a settembre. Poi, una volta che la mia carriera di giocatore sarà terminata, mi piacerebbe trasmettere quello che ho imparato ad altri colleghi, senza però trascurare la passione per i motori”.
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