C’è chi, dopo l’attentato di Copenhagen, comincia a chiedersi se per caso l’IS non faccia sul serio e, sotto sotto, a domandarsi come si fa a spiegare a quelli là che noi non c’entriamo. Dàtti una mossa, Biancaneve, la ricreazione è finita: non è più tempo ormai di Centri Commerciali e di Karaoke.
C’è chi, se i media del califfo danno del “crociato” al ministro Gentiloni – che, detto fra noi, a tutto somiglia meno che a un emulo di Goffredo di Buglione – si preoccupa e dice che siamo al nuovo medioevo. Dàtti una regolata, Panda-in-Pigiama, questo non è un film di Mel Brooks. E la parola “crociata”, in arabo (harb as-salibiyya), fino al secolo scorso nemmeno esisteva. E’ un neologismo. L’Islam, che gli facevamo contro le crociate, non se n’era nemmeno mai accorto. Se usa ora quel termine, e lo fa per offenderci e farci paura, ciò dipende non dal fatto che siamo ancora nel medioevo ma da quello che ormai siamo al postmoderno. Queste sono guerre nuove, nuovissime.
Abbiamo continuato troppo tempo a pensare, nonostante tutto quello che ci capitava attorno, di vivere in un’isola felice dove il tempo era sempre sereno e non ci sarebbe mai stata tempesta. A svegliarci non sono bastati né gli Anni di Piombo, né la crisi balcanica degli Anni Novanta, né l’immenso pasticcio afghano cominciato quarant’anni fa e ancora in atto, né le due guerre irakene.
Figli ignavi della sovranità limitata
La nostra “sovranità limitata”, di tutti noi europei che abbiamo perso la guerra – tutti, anche inglesi e francesi: la guerra l’hanno vinta Roosevelt e Stalin – in fondo ci faceva dormir tranquilli: c’era la NATO a farci la guardia, no? Ma la guerra fredda, per la quale la NATO è stata pensata, è finita da un pezzo: eppure non ci siamo posti né il problema di come mutare istituzioni e strutture ormai logori, né di come evitar di continuar a pagar di tasca nostra i giochi altrui.
Non possiamo nasconderci dietro la Nato
La politica dello struzzo non è mai servita a nulla. Ora siamo in ballo anche noi: e non possiamo nasconderci dietro il dito della NATO, se non altro perché allearsi con qualcuno è una cosa seria anche se noi seri non siamo granché. L’operazione Mare nostrum si è chiusa, ma le cose vanno peggio di prima e noi non possiamo illuderci di uscirne semplicemente chiudendo i porti e lasciando annegare la gente. E se, da quella Libia piena di fondamentalisti che noi quattro anni fa abbiamo aiutato a prevalere dando ascolto allo stolido Hollande che a Gheddafi non perdonava di avergli mandato all’aria un po’ di business della Total e della telefonia interafricana, ora qualcuno ci punta contro dei missili, ciò dipende dal fatto che senza rendercene conto anche noi abbiamo accettato di giocare a un gioco pericoloso pur sapendo che non spettava a noi né tenere il banco né distribuire le carte. Ricordate come diceva il buon Machiavelli mezzo millenio fa? Credevano, i principi d’Italia, che bastasse avere una bella ed elegante cancelleria per uscire dalle péste. E che cosa credevano i nostri politici, che bastasse comprare a scatola chiusa un po’ di F 35 per liberarsi da tutte le rogne?
Cari miei, siamo in guerra. E, se la guerra la si fa da gregari, il nemico ce le suona lo stesso: come se fossimo noi i protagonisti. Tanto più che c’è un obiettivo dato geopolitico: questa è una guerra asiafrico-mediterranea, giocata tra Nord e Sud (anche se ciò non significa automaticamente “del Nord contro il Sud”): e noi siamo in prima linea. Lo siamo in Libia, ma anche in Grecia e quasi quasi perfino in Crimea (o vi siete dimenticati che un secolo e mezzo fa fu proprio una guerra in Crimea a decidere del nostro futuro di nazione unitaria?).
Ma questa è una guerra nuova e sui generis, dove non si sa quale sia il fronte e dove il nemico potrebb’essere già in casa. E non basta “chiudere le frontiere”, come blatera qualcuno, perché questa è una guerra civile: i musulmani, che la chiamano fitna, lo hanno capito benissimo: sono ormai dieci anni da quando un teorico di al-Qaeda ha sentenziato con grande lucidità che il terreno di scontro per il futuro doveva essere l’Europa. Non è che, se avremo qualche attentato nel nostro paese, potremo spedire la nostra aviazione a bombardare Mosul. Il califfo può anche atteggiarsi a capo di stato, ma per la comunità internazionale non lo è: e non si può certo rispondere alle sue provocazioni e alle sue violenze andando ad ammazzare degli innocenti sparando nel mucchio. Lui Mosul non la governa: la occupa esattamente come i pirati di Salgari occupavano Maracaibo; e non ne governa gli abitanti, li opprime. Noi abbiamo il diritto e il dovere di difenderci, ma anche quello di restare un paese civile e uno stato di diritto. E allora?
Le tre armi per vincere la guerra
Allora, questa guerra si vince con tre tipi di armi: l’intelligence, la prevenzione-infiltrazione nelle possibile cellule jihadiste che operano nel nostro paese, l’informazione corretta. Bisogna vigilare, migliorare il nostro sistema mediatico a cominciare dalle informazioni che arrivano ai nostri politici e ai nostri mezzi di comunicazione e che gli uni e gli altri gestiscono, intenderci bene su chi sono i nostri nemici.
Con una cosa che dev’esser chiara, tanto per cominciare. Questa non è una crociata: altrimenti avrebbe ragione il califfo, che invece non ce l’ha. Il nostro nemico non è affatto, genericamente globalmente “l’Islam”. Quella islamica è una cultura che interessa quasi un miliardo e mezzo di persone la stragrande maggioranza delle quali vorrebbe solo stare in pace a casa sua (e se deve migrare, è perché gli altri ce la costringono: siano essi gli energumeni dell’IS o le lobbies che affamano l’Africa). Se spariamo nel mucchio, facciamo il gioco del califfo: è quello che vuole, non aspetta altro. Per esempio, la legge regionale lombarda che impedisce la costruzione delle moschee è un favore che gli è stato servito su un piatto d’argento: così potrà convincere ancora di più i suoi correligionari che egli è il rappresentante del puro Islam e che gli altri, i “crociati” e gli “apostati” (vale a dire i musulmani che desiderano la convivenza) ad avercela con lui. Europa, svegliati. E comincia una buona volta a camminare con le tue gambe.
La prova della diplomazia europa (senza la Nato)
Il che vorrebbe dire, ed esprimo un pio desiderio ben conscio che resterò deluso, che dovremmo cominciare col non tirare in ballo la NATO. La diplomazia dei paesi della UE (dato che una diplomazia comune purtroppo non esiste) dovrebbe insistere affinché a contrastare il califfo non fosse la NATO, screditato strumento di una politica imperialistica ottusa e antiquata, bensì l’ONU; e che in campo contro di lui scendessero direttamente solo eserciti formati di musulmani sunniti (niente “crociati” occidentali, niente “scismatici” sciiti: non facciamogli un regalo che egli sfrutterebbe propagandisticamente). Intanto, combattiamolo con la propaganda, l’organizzazione del consenso, il dialogo. In questa guerra vincere non basta, bisogna anche convincere. Dialogare con le comunità musulmane è la più efficace mossa che possiamo fare contro di lui. Non scendiamo al livello vergognosamente filo-IS della regione Lombardia, che proibendo la costruzione di nuove moschee gli ha regalato migliaia di nuovi simpatizzanti.