La presenza di Aleksandr Solzenicyn non si è affievolita a sette anni dalla sua scomparsa. Anzi, si può dire che risulti più incisiva a fronte delle convulsioni mondiali e dello smarrimento dell’Occidente che denunciò vigorosamente nel corso della sua intensa vita di scrittore e di testimone dei crimini del comunismo sovietico. Giusto settant’anni fa, il 9 febbraio 1945, soldato e scrittore, Solzenicyn fece la conoscenza dell’universo concentrazionario che avrebbe meticolosamente descritto in quell’“Arcipelago Gulag“ che alla sua apparizione in Europamise a soqquadro perfino le coscienze comuniste che presero a guardare con altri occhi agli orrori dello stalinismo. Quel giorno, Solzenicyn venne prelevato ed internato in un campo di lavoro forzato con l’accusa di aver criticato Stalin in una lettera privata ad un amico. Fu condannato a otto anni di prigione e, scontata la pena detentiva, al confino perpetuo iniziato nel villaggio sperduto di KolTerek, nella steppa kazaka. Dal suo peregrinare di esiliato in patria, punteggiato da soprusi indescrivibili e perfino da un tentativo di avvelenamento da parte del Kgb, vennero fuori i suoi capolavori di sofferenza e di speranza.
“Il mio grido” dello scrittore russo pubblicato da Piano B
Settantant’anni dopo l’arresto – tanto per non dimenticarlo – una piccola ma raffinatissima casa editrice, Piano B, manderà in libreria, tra pochi giorni,“Il mio grido” dello scrittore russo. E’ una raccolta di saggi brevi, discorsi, testi di conferenze ed articoli ormai introvabili in Italia e per la prima volta pubblicati in un volume unico. Tra essi possiamo rileggere testi con accenti a dir poco profetici, tra i quali l’allocuzione tenuta in occasione del conferimento del Nobel nel 1974 che dà il titolo all’antologia, “La gente ha dimenticato Dio”, “Vivere senza menzogna”, “Un mondo diviso”.
All’ateismo ed al relativismo Solzenicyn contrappone la certezza di una rinascita spirituale e la necessaria accettazione da parte di ognuno della propria responsabilità di fronte all’oppressione dei progetti totalitari. Soprattutto, nelle sue ispirate parole, ritroviamo descritta la nostra condizione: “Il mondo occidentale – disse ad Harvard, davanti a ventimila presone, nel 1978, prendendo la parola dopo quasi tre anni di silenzio – ha smarrito il suo coraggio civile, sia nel suo insieme che separatamente…Un tale declino del coraggio è particolarmente evidente nelle élite al potere e negli intellettuali, con ciò causando una perdita di coraggio da parte di tutta la società”. Vedeva lontano lo scrittore: “La società dimostra di essere quasi del tutto indifesa contro l’abisso della decadenza umana”. L’accento posto esclusivamente sui diritti, trascurando completamente i doveri era, a suo giudizio, la causa del disfacimento occidentale che non sembrava (e non sembra) avere le riserve necessarie per reagire alla contaminazione del materialismo. Così come l’accurata “selezione che separa le idee alla moda da quelle che non lo sono” induce soprattutto i giovani a deviare dalla strada della ragione. Di conseguenza si assiste ad un Occidente “liberatosi” dall’eredità morale dei secoli cristiani è pervenuto alla sua crisi ed allo smarrimento che lo pervade. Il mondo occidentale, dunque, si trova di fronte ad una svolta decisiva “paragonabile a quella che dal Medio Evo condusse al Rinascimento”. Il riscatto, secondoSolzenicyn, esigerà“un’elevazione spirituale, un’ascesa verso nuove altezze di intendimenti, verso un nuovo livello di vita dove non verrà, come nell’era contemporanea, calpestata la nostra natura spirituale”. Insomma, all’Occidente non è data altra possibilità per rinascere se non di riappropriarsi del suoi valori, delle sue tradizioni, della sua storia e orgogliosamente difendere questo patrimonio di fronte alla decadenza che ne indebolisce le fibre.
Rileggere oggi queste pagine è angosciante riflettendo sul tempo trascorso e su quanto la condizione dell’Occidente sia degenerata. Immemori del tempo andato e fermi alla caduta del Muro di Berlino, in particolare gli europei mostrano un certo fastidio di fronte alle stringenti analisi di Solzenicyn. Ne è prova il silenzio che due anni fa avvolse il quarantesimo anniversario della pubblicazione di “Arcipelago Gulag” e l’espulsione dello scrittore dalla discussione sui nuovi assenti mondiali che vedono soccombente quello che una volta era il “mondo libero”. (da Il Tempo)