Il Medioriente e i suoi deserti, le sue immense distese di sabbia rovente che in passato mitiche carovane di beduini attraversavano, nient’altro che granelli di polvere tra il sole e l’incudine terrestre sulla quale sferza i suoi colpi più forti. E il deserto… Il deserto, un regno di sabbia, di sole e di silenzio, dove l’uomo può ritrovare sé stesso oppure perdersi, per sempre. Una terra di santi eremiti e di profeti, di guerrieri e di filosofi che da sempre affascina gli occidentali e in particolare gli europei, a causa della vicinanza geografica come pure dell’influsso della cultura giudaico-cristiana. Pensiamo a Châteaubriand, a padre de Focauld, a Lawrence d’Arabia, ad un piccolo agronomo danese del XVIII secolo, Nils Niebuhr, che sfidò un mondo ostile del quale sapeva ben poco per ricercare gli splendori perduti dell’Arabia Felix. E, perché no?, ai Crociati medievali, quelli veri, molto diversi dagli alfieri odierni dello scontro tra civiltà, alla loro epopea di coraggio e bassezze, di Fede e crudeltà, di puro calcolo e misticismo.
Gli occidentali arruolati con l’Isis
A giudicare da quanto apprendiamo sfogliando le pagine dei quotidiani nazionali, parrebbe che le nuove conquiste del fanatismo di matrice islamica abbiano riacceso un vero e proprio revival del “ritorno all’Oriente”. Ci riferiamo alle notizie riportate dai media riguardanti presunte legioni di giovani europei pronte ad impugnare il M16 a fianco dei miliziani dell’Isis per la gloria di Allah e del Profeta, epigoni di quei giannizzeri armati di scimitarra dei tempi andati. L’intelligence francese traccia un quadro piuttosto allarmante ed allarmato dei “mercenari europei” accorsi in Siria per combattere contro Assad: si tratterebbe di un’armata tra le 5.000 e le 11.000 persone.
Premesso che, come fa notare lo storico Franco Cardini, si dovrebbe adeguatamente distinguere tra musulmani stranieri risiedenti in Europa, europei convertiti che hanno abbracciato la causa della guerra santa, e veri e propri mercenari, che l’allarmismo e le cifre (peraltro non comprovate da dati ufficiali) sono sicuramente eccessivi, il fenomeno dei volontari occidentali convertiti è rilevante. Si tratta di un’infima minoranza di giovani, soprattutto belgi, francesi, britannici e canadesi. Di alcuni di loro conosciamo persino i nomi, i volti: i francesi Maxime Hauchard e Michael Dos Santos, l’inglese Sally Jones, l’ex rapper britannico Abdel Majed Abdel Bary, forse il Jihadi John boia di Peter Kassig, e tanti, tanti altri.
Ma cosa ha spinto questi figli dell’Occidente ad un tale passo? Cosa li ha guidati in questo delirio di violenza ammantato di fanatismo, quali fantasie, quali sentimenti, sogni infranti, li ha portati ad abbracciare la causa dell’estremismo jihadismo? Non sono anch’essi parte del nostro mondo? Non sono nati tra noi, non è stata la nostra società a nutrirli, educarli, crescerli? Come hanno potuto rinnegarla, come hanno potuto scegliere la via delle armi? Pazzia? Indottrinamento, lavaggio del cervello da parte di quelle che qualcuno definisce “le avanguardie del califfo”? Forse un po’ di tutto questo. Su di loro cala implacabile la condanna di una società che rifiuta questi frutti degenerati, mentre i media tratteggiano il profilo desolante dei nuovi mostri, brutali assassini.
Nessuno si interroga sulla ragione profonda di questo allarmante fenomeno, nessuno cerca di capire senza assolvere. Nessuno cerca di intravedere in queste giovani vite stravolte dal fanatismo l’impronta di una società giunta al capolinea, svuotata di valori e di senso, sclerotizzata, oppressiva, palcoscenico per miti ed idoli senz’anima, facile teatrino per le leve del potere. Eppure è così, i giovani volontari europei della jihad non sono che i figli degeneri dell’Occidente nichilista, figli giunti a rifiutarlo, a desiderare di distruggerlo, farlo piombare in fondo a quell’abisso senza fine dove già si avvia. Non troppo diversamente da tanti loro coetanei che si rifugiano nella droga, nell’oblio o nella virtualità della rete, essi cercano anche una fuga da una società che li rifiuta, o forse sperano di trovare in quella deviazione modernista dell’Islam (come ben spiega lo storico delle religioni Seyyed Hossein Nasr) che è il radicalismo jihadista, nient’altro che un esasperato surrogato di una religiosità perduta, quel “senso del Sacro” che una società secolarizzata non può offrire, portandolo alle estreme conseguenze. Forse cercano la morte, l’espiazione attraverso la distruzione propria e degli altri, l’annullamento…
Chissà se qualcuno di loro ha mai letto I Proscritti di Ernst von Salomon, un libro che racconta le vicende della gioventù perduta tedesca del primo dopoguerra. Generazioni, luoghi, stimoli ideologici e culturali completamente diversi, eppure le pagine di von Salomon si adatterebbero benissimo a questi guerrieri del Califfo: esse narrano “l’ascesi di una giovinezza dura e cupa, piegata dallo sbigottimento dinnanzi ad un ordine infranto; eppure tesa ad esprimersi, con una franca ferocia vitale e pre-ideologica che è comunque barbara consapevolezza del nemico da abbattere, crudele riconoscimento della necessità di affermazioni empie, che strazino l’individuo per ridargli il diritto di riacquistare la “pietas” comunitaria, la patria perduta che si compiace del suo immenso Nulla”[1]. Non manca niente: il rifiuto di una modernità svuotata di valori, la ricerca della violenza, dell’estrema trasgressione, la sconfitta.
La nostra società reciterà mai un mea culpa per questi giovani che ha spinto nell’abisso trasformandoli in mostri? S’interrogherà sul quadro tragico che questo spaccato di contemporaneità offre? Certo non sarà così… E quest’epopea di sangue e violenza terminerà in un cupio dissolvi tra le sabbie del deserto, dove terra e cielo si fondono nell’infinito.
[1] Testo di Mario Bernardi Guardi tratto dagli atti del convegno “Costanti ed evoluzioni culturali” di Cison di Valmarino (12\14 marzo 1981); pubblicato ne “Al di la’ della destra e della sinistra”, Lede Edizioni, 1982.