Prendi i soldi e scappa. Non è il titolo di un film comico ma il copione della vertenza industriale che riguarda la Bridgestone di Bari. L’azienda nipponica – che ha annunciato di chiudere lo stabilimento per la produzione di pneumatici nella zona industriale del capoluogo pugliese – infatti ha ricevuto dal 2000 ad oggi dallo Stato italiano due milioni e seicentoquarantamila euro di contributi pubblici (fonte la Repubblica) per ampliamento e ammodernamento della struttura produttiva nella zona industriale. L’Italia, questo è il paradosso, foraggia gli stranieri che poi sbaraccano le fabbriche. Il nodo è cruciale: l’interesse nazionale si difende coniugando for-za-ta-men-te le aspettative di un capitalismo sempre più globale con le ragioni del proprio popolo. Sostenere l’impianto di uno stabilimento straniero è una scelta oculata solo se c’è un corrispettivo occupazionale da preservare. In caso contrario si tratta di ingiustificate regalie.
La dirigenza europea del colosso nipponico ha comunicato i propri orientamenti su una fabbrica che occupa al momento oltre 900 operai con un comunicato che ha colto di sorpresa politica e istituzioni: le reazioni di Vendola ed Emiliano, rispettivamente governatore e sindaco di Bari, sono non solo insufficienti ma appaiono soprattutto anacronistiche. Lo sceriffo che vuole mettersi nel sacco a pelo e occupare la fabbrica non si rende conto che in gioco non c’è la conquista di un titolo di giornale o di due minuti al tg, ma la difesa dei posti di lavoro in una terra avvelenata dalla precarietà e dalla disoccupazione. Il discorso è nazionale, riguarda le politiche industriali italiane e richiede l’intervento di un governo forte, sostenuto da una maggioranza politica in grado di confutare le tesi dell’azienda che produce gomme per veicoli.
Dopo l’Ilva, la querelle Bridgestone pone al centro del dibattito la produzione industriale del nostro paese e il rapporto con aziende multinazionali: queste ultime decidono in base alle regole del profitto a scapito dell’occupazione e del valore sociale del lavoro.
In attesa dell’arrivo di un nuovo governo (?) in grado di fronteggiare questa emergenza, non è mai troppo tardi per auspicare un ritorno all’Umanesimo del lavoro, cifra della civiltà italiana, oltraggiata da politicanti che hanno dimenticato come si difende il proprio popolo.
@waldganger2000