La strage dei fratelli Kouachi e del loro complice Coulibaly non ha nulla di paragonabile con gli attentati di Londra, né con quelli di Madrid. Quanto a parlare di un “11 settembre”, come Michel Onfray o Eric Zemmour fanno, è propriamente inadeguato. Pertanto, l’incredibile mobilitazione intorno allo slogan “Je suis Charlie” non ha mai avuto equivalenti in alcuna delle nostre democrazie. Da solo, questo paradosso incomprensibile è sufficiente per affermare che i francesi e il mondo intero sono stati senza dubbio testimoni, l’11 gennaio 2015, della più grande operazione di propaganda e di intossicazione dai tempi dei funerali di Stalin, il 9 marzo 1953.
La reazione eccessiva osservata in tutti i media, senza eccezione, il rilancio delle frasi più deliranti – come seppellire le vittime al Pantheon e fare del 7 gennaio un giorno festivo – la mobilitazione forzata, sotto pena di stigmatizzazione o di punizione, di tutte le componenti della società – organi dello Stato, media, sindacati, scuole, associazioni, mondo delle arti e delle lettere, servizi pubblici, imprese private, squadre sportive, ecc. -, tutto questo nella storia di Francia ha un solo precedente, uno solo. Anche in quel caso, si trattava di un giornale, era il 13 luglio 1793: voglio parlare dei grandi funerali di Jean-Paul Marat, il redattore di L’ami du peuple, colui che richiese di tagliare 100mila teste e che fu assassinato da Charlotte Corday.
Questo confronto non è casuale. Marat era una bestia assetata di sangue, ma David ne ha fatto post mortem un simbolo di libertà, un capovolgimento di valori che si può osservare con Charlie Hebdo, giornale settario e odioso, oggi icona della libertà di espressione. Ma c’è di più: la reazione del governo è stata anche del tutto conforme a quella dei Comitati, uno scenario in tre fasi che poi servirà più tardi da modello a tutti i regimi totalitari del XX secolo:
1) glorificazione della memoria delle vittime (una sorta di canonizzazione laica) su un tema unificante, ma fittizio: la lotta contro i traditori nel 1793, la libertà di espressione di oggi;
2) la mobilitazione di tutta la popolazione dietro la fiaccola dell’unità nazionale per affrontare un nemico straniero: i monarchici emigrati nel 1793, gli immigrati islamici oggi;
3) la stupenda opposizione morbida repubblicana: la Piana (così era definita la maggioranza moderata dei componenti della Convenzione nazionale durante la Rivoluzione francese, ndt) nel 1793,l’UMP oggi e repressione contro i refrattari (i Girondini nel 1793, il Front National oggi).
Questo confronto, ve lo consegno come un avvertimento. Rinvia alle ore più buie del nostro passato: la dittatura giacobina. Bisogna infatti ricordarsi che la morte di Marat ebbe per conseguenza un violento colpo di acceleratore a questa macchina infernale che fu il Tribunale rivoluzionario, il cui pendant oggi potrebbe essere la XVI o XVII camera del tribunale di Grande istanza di Parigi.
Il pubblico ministero, Antoine Fouquier-Tinville aveva nel suo arsenale della legge dei sospetti (17 settembre 1793), una legge infame che vi mandava al patibolo su semplice denuncia. Nel 2015, i giudici dispongono della nuova legge Cazeneuve (13 novembre 2014) che instaura il reato di apologia del terrorismo. Sarà sufficiente una parola mal interpretata, o anche un gesto equivoco (polpettina?) per deferirvi al tribunale ed essere giudicati con comparizione immediata, con, pronta, una condanna a cinque anni di carcere. Leggi d’emergenza, giustizia sommaria, epoca sinistra.
[Articolo comparso su bvoltaire.fr. Traduzione dal francese di Manlio Triggiani]