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Intervista. De Benoist: “La violenza, il diritto all’insurrezione e la lotta alle tirannie”

by Nicolas Gauthier - traduzione di Manlio Triggiani
3 Gennaio 2015
in Le interviste, Politica
0

alain de benoistViolenza di strada (fatti di cronaca sempre più sordidi), ma anche violenza istituzionale (il terrorismo di Stato è ben più letale del suo omologo “privato”), o violenza sociale (licenziamenti di massa per soddisfare gli interessi dell’azionariato). Signor de Benoist, possiamo dire che la nostra società sta diventando sempre più violenta?

“E ‘molto difficile da dire. La violenza appartiene a tutti i tempi, perché è radicata nella natura umana. L’uomo non è né naturalmente buono (sarebbe poi “corrotto dalla società”), né naturalmente cattivo (la teoria del peccato originale), ma capace, di volta in volta, di esprimere il meglio e il peggio. E’ questo che lo rende di volta in volta imprevedibile e pericoloso – avendo le istituzioni per ragion d’essere di premunirlo contro se stesso. In questo senso, la violenza è consustanziale alla dinamica di ogni società che deve incanalarla in un modo o nell’altro. Ma vi sono, naturalmente, dei periodi più violenti rispetto ad altri, e anche fattori aggravanti. L’Urbanizzazione, per esempio, favorisce la violenza criminale perché generalizza lo sradicamento e l’anonimato, e diminuisce il senso di appartenenza e il senso comune. Ma ciò che oggi aumenta di più è la sensibilità alla violenza. Fa parte della schizofrenia dell’epoca: così come non abbiamo mai fatto tanto la guerra da quando abbiamo proclamato il valore assoluto della pace, così non abbiamo mai rifiutato la violenza che riemerge ovunque. La violenza è fondamentalmente polimorfa. Perrciò non ha senso parlarne in astratto. E’ tutta una questione di contesto. Non bisogna dimenticare che l’aggressività può rivelarsi utile in alcune circostanze, anche magari solo per affrontare un nemico. Questo è ciò che Konrad Lorenz ha ricordato in un suo libro rimasto celebre. Julien Freund e, dopo di lui, Michel Maffesoli, hanno anche posto l’accento sulla fondamentale ambiguità della violenza, che può essere sia creativa che distruttrice. Schumpeter ha anche usato l’espressione “distruzione creativa” per caratterizzare il processo di innovazione nell’attività economica e industriale (vi ha anche visto il ‘dato fondamentale’ del capitalismo). E’ stato dimenticato, perché tendiamo ad allinearci alla lingua inglese, che non ci sono termini per designare il senso positivo della violenza. E non è sempre stato così. Pascal, nei Pensieri (n. 498), parla di ‘violenza amorevole e legittima’. Maurice Bellet, più recentemente, ha evocato la ‘violenza felice’ che caratterizza le personalità forti. La parola latina violentia deriva d’altronde da vis, che significa semplicemente ‘forza'”.

Per Georges Sorel, la violenza non è da confondere con la forza. Per Éric Zemmour, vi è anche una violenza legittima, poiché afferma, a proposito della pena di morte, che una società incapace di uccidere per proteggersi è una società che muore. C’è contraddizione tra questi diversi punti di vista?

“Politicamente parlando, è generalmente ammesso che la violenza divenga legittima quando non c’è più altro modo per esprimersi. E’ il fondamento del ‘diritto all’insurrezione’, che giustifica il ricorso alla violenza quando è messa al servizio del tirannicidio o della resistenza all’oppressione. Ma ciò pone il problema dell’atteggiamento che si può adottare verso la tirannia basata su una violenza sistemica, strutturale o simbolica. Tutti i movimenti di resistenza hanno fatto uso della violenza, anche tutti i movimenti di decolonizzazione, e spesso l’hanno fatto con successo. Georges Sorel esaltava la ‘violenza proletaria’, che ‘nega la forza organizzata dalla borghesia e pretende di sopprimere lo Stato che ne forma il nucleo centrale’ (Riflessioni sulla violenza). Questo elogio della violenza contro la forza può sorprendere, perché siamo piuttosto inclini a intendere il contrario: l’elogio della forza e la critica della violenza. Ma il punto di vista di Sorel si chiarisce se lo si mette in rapporto con l’opposizione tra legalità e legittimità. Lo Stato pretende di detenere il ‘monopolio della violenza legittima’ (Max Weber), ma non è mai titolare di una legalità che non è sinonimo di legittimità. Di fronte al potere legale, la violenza può diventare legittima. Si avrebbe torto, scrive Michel Onfray, a puntare i riflettori sulle sole violenze individuali quando tutti i giorni la violenza degli esponenti del sistema liberale produce situazioni deleterie nelle quali vengono inghiottiti coloro che, persi, sacrificati, senza fede né legge, senza etica, senza valori, esposti all’asprezza di una macchina sociale che li macina, si accontentano di riprodurre al proprio livello, nel proprio mondo, le esazioni di chi li governa e rimangono impuniti. Se le cosiddette violenze legittime cessassero, si potrebbe finalmente considerare la riduzione delle violenze dette illegittime».

Anche se il fenomeno è ancora marginale, sempre più francesi sono tentati di assumere atteggiamenti di autodifesa. Questa “violenza” vi sembrerebbe legittima?

“Del tutto legittima, ma solo fino a una certa misura, perché l’autodifesa può anche portare alla vendetta, che è il contrario della giustizia. In Francia, le leggi che definiscono l’autodifesa mi sembrano troppo restrittive. Negli Stati Uniti, non lo sono abbastanza. La cultura americana è da sempre una cultura della violenza. Sapete che tra il 1968 e il 2012, ci sono stati negli Stati Uniti un milione e trecentomila omicidi con armi da fuoco, cioè più vittime che non in azioni militari durante tutte le guerre alle quali questo Paese ha partecipato?”

Intervista a Alain de Benoist a cura di Nicolas GAUTHIER

[Traduzione dal francese di Manlio Triggiani]

Nicolas Gauthier - traduzione di Manlio Triggiani

Nicolas Gauthier - traduzione di Manlio Triggiani

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