Eccone un altro che se ne va. Thierry Henry dà l’addio al calcio e lascia il rettangolo verde per salire su in tribuna stampa: sarà commentatore televisivo. Capocannoniere della nazionale francese, leggenda dell’Arsenal di Wenger, certezza a Barcellona, meteora incompresa in Italia, alla Juventus. Storiaccia italiana di un talento immaturo che deve scappare in Inghilterra per imporsi alla storia del football. Piedi in fuga che adesso salutano il calcio giocato dopo una lunga carriera terminata negli Stati Uniti.
FUORI CLASSE FUORI RUOLO. Henry dell’Italia non avrà un bellissimo ricordo. Arrivò dal Monaco in cambio di 24 miliardi di lire. Luciano Moggi ebbe l’intuizione di portarselo a Torino: Alex Del Piero s’era infortunato, e seriamente. In panca c’erano il vecchio Daniel Fonseca, la promessa Nicola Amoroso e l’ufologico Juan Eduardo Esnaider. Thierry giocò e male alle primissime apparizioni. Giovane e inesperto accusò parecchio il gap (allora) esistente tra la Serie A e la Ligue 1. Ciò contribuì a far saltare la panchina di Marcello Lippi. Alla Juve arrivò Carletto Ancellotti che ebbe un’epifania: schierare Henry sulla fascia sinistra, dietro, a centrocampo. Sfruttarne la velocità e la prestanza per portare scompiglio nelle difese avversarie garantendosi, contemporaneamente, una certa copertura. L’esperimento riuscì. Ma la carriera di Henry come stantuffo di sinistra finì quasi subito. All’Arsenal, Wenger capì che era meglio farlo giocare nel suo ruolo naturale, da centravanti. Ebbe ragione. I tifosi gunners ancora lo ringraziano, quelli juventini ancora (un po’) rosicano.
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LE ROI DU BUT. Thierry Henry lascia un segno profondo nella storia del calcio francese. Con 51 gol è il capocannoniere, di tutti i tempi, della nazionale Blue. Secondo le aride statistiche, meglio pure di Michel Platini (fermo a 41 marcature) e dell’ex compagno alla Juve Zinedine Zidane (che ha segnato “solo” 31 volte). Con i galletti ha vissuto le esaltanti vittorie ai Mondiali di casa e agli Europei, in finale contro l’Italia di Zoff, cocenti delusioni come la vendetta azzurra mondiale del 2006 a Berlino e bizzarrie sindacal-pallonare come l’ammutinamento pro Anelka contro l’odioso cittì Raymond Domenech, nel 2010 in Sudafrica. Tutte le ha viste, in nazionale. “Spero di avervi fatto divertire”, così s’è congedato Henry dai tifosi e dai francesi. Che, con qualche sceicco in più ma un altro fuoriclasse in meno, sono calcisticamente un po’ più poveri.