Era il 1918, quando venne pubblicata la prima parte dell’opera ciclopica di Oswald Spengler, Il Tramonto dell’Occidente, che i contemporanei interpretarono, inevitabilmente, come la diagnosi del male incurabile che, verso la fine della Grande Guerra, annunciava la fine dell’Europa.
Oggi, dopo quasi un secolo, appare invece evidente che il crepuscolo dell’Occidente non è affatto terminato, e che il carattere profetico dell’opera spengleriana riguarda ancora molto del futuro davanti a noi. Il Tramonto ha come sottotitolo “Lineamenti di una morfologia della storia mondiale”, storia che viene descritta attraverso sette grandi civiltà simili a organismi viventi che nascono, crescono e declinano, muovendosi tra i due principi, apparentemente opposti, di Kultur e Zivilization, ossia tra una cultura che valorizza la “Civiltà”, dove regna l’ordine qualitativo, e la sua versione decadente, la “Civilizzazione”, ovvero il dominio della quantità e dell’indifferenziato.
Tradotto in Italia solo negli anni Cinquanta del secolo scorso, Il Tramonto dell’Occidente resta un libro molto più citato che letto, e Spengler un autore più interpretato che capito, anche se, a partire dalla nuova edizione pubblicata da Longanesi nel 2008, l’attenzione dell’accademia italiana verso il filosofo della Rivoluzione Conservatrice si è ridestata, e ha fornito contributi preziosi, come il denso volumetto di Giuseppe Raciti, docente di filosofia teoretica all’Università di Catania, intitolato “Per la critica della notte. Saggio sul Tramonto dell’Occidente di Oswald Spengler”, appena pubblicato da Mimesis (pagg. 136, € 12).
Già curatore di opere di Bachofen, Hamann e Juenger –a cui ha dedicato anche il saggio Ho incontrato Juenger nel Caucaso-, Raciti smonta i luoghi comuni che circondano Spengler, primo fra tutti la presunta e irriducibile opposizione tra Kultur e Zivilization, che in realtà sono l’una l’inevitabile sviluppo dell’altra, e viceversa. A questo proposito, oltre ai consueti riferimenti ad autori come Goethe, Thomas Mann, Nietzsche e Kant, l’Autore lancia interessanti suggestioni citando scrittori che solitamente non vengono affatto accostati al filosofo tedesco: l’antropologo dimenticato Leo Frobenius, lo scrittore a lungo sottovalutato H.P.Lovecraft, l’ingiustamente ricordato solo come poeta W.B.Yeats e il giovane filosofo suicida Otto Weininger, che su Spengler ebbe un’ influenza ben più rilevante di quello che generalmente si pensa.
Alla contrapposizione tra i due principi opposti di Kultur e Zivilization, Raciti suggerisce, ad esempio, di sostituire la gyre yeatsiana, le due spirali contrapposte, il cui moto elicoidale fa sì che dove finisce la rotazione di una inizi quella dell’altra, confermando così la maggiore efficacia nella rappresentazione della realtà da parte di miti e simboli invece di cifre e formule matematiche nelle quali siamo immersi. Del resto, come ci ammoniva Spengler, dobbiamo immergerci nell’astrazione fino in fondo, lasciando che la tecnologia invada con forme “sempre più disumanizzate, che avvolgono la terra con una rete infinita di forze sottili, di correnti e di tensioni”; esattamente quello che la diffusione di Internet sta facendo al mondo. Possiamo dire che Spengler aveva predetto anche questo.