Caro direttore,
le scrivo il mio giudizio sul film di Martone (“Il Giovane Favoloso”) la selva oscura di commenti entusiastici ed encomiastici che in questi giorni m’assillano sulla rete, non ultimo tra i quali il giudizio di “nientedimenoché” Roberto Saviano. Prima di vedere il film una domanda mi era sorta spontanea: “Era proprio necessario fare un film su Leopardi?”. Alla fine della visione ho però rettificato la mia domanda: “Era proprio necessario fare QUESTO film su Leopardi?”
Io, umile studente di Lettere, sono ohimé costretto a fare Mea Culpa, poiché in questo Giovane Favoloso ho visto poche favole, e certo non ci ho visto un capolavoro. Ciò che ho visto non è stato che uno svilimento della figura del Conte Giacomo Leopardi, secolarizzato e, cosa assai più tremenda, sessualizzato. Secolarizzato in quanto il pensiero puro del poeta non viene fuori, ciò che lo ha reso immortale viene messo in un angolo e riassunto in patetiche recite di brani (abbastanza banalmente) scelti, per lasciare più spazio agli aspetti più grettamente materialistici della vita del’autore, facendolo entrare di diritto in quella “folla imbarbarita degli evi persi” (citando Gadda) da cui Leopardi ha sempre voluto spasmodicamente sottrarsi.
Allo svilimento del pensiero leopardiano ci pensa egregiamente la perpetua sessualizzazione che si ha del Conte, prima con le sbirciatine alla finestra d’una evitabilissima “Silvia”, poi con l’eccessivo peso narrativo dato alla storia d’amore non corrisposto con la bella Fanny Targioni Tozzetti.
Se queste attenzioni possono essere certo spiegate come tentativi di rendere il prodotto più appetibile agli intamontabili romanticoni, certo restano di cattivo gusto e completamente insensate le sbirciate che Elio Germano/Giacomo Leopardi dà all’amico Ranieri nudo e la vicenda col femminiello nel bordello di Napoli.
Insomma, oggi è di moda fare velate allusioni a presunte omosessualità, perché Martone non avrebbe dovuto timbrare il cartellino?
Per farla breve, io ho visto un film nella quale non si riesce a focalizzare le parti realmente importanti della vita di uno dei monumenti della nostra letteratura (uno scapestrato e fantasioso Leopardi fanciullo avrebbe più centrato la figura del poeta che tutte le sue vicende amorose), ho visto un film dove non venivano fuori i concetti cari della lontananza, la poesia dell’indefinito, della ricerca spasmodica di qualcosa che andasse oltre la materia se non in maniera confusa e grossolana.
Non basta farlo rotolare nel fango, farlo ondeggiare su una collina mentre recita L’Infinito o fargli fare gli occhi dolci a “Silvia” per far venir fuori la vitalità leopardiana, oltre lo stereotipo scolastico del pessimismo.
Fate venir fuori come “le magnifiche sorti e progressive” abbiano distrutto la favola antica, fate vedere un poeta a caccia di illusioni, un poeta fuori dal tempo, fuori dal sesso, fuori dal sociale e non un tizio goloso di gelati che sbircia le procaci paesane invece di studiare. Solo così si potrà comprendere pienamente l’autore le cui opere conquistarono Federico Nietzsche. Solo così si avrà il vero Giacomo Leopardi.