“All’Italia dei nostri giorni manca, eccome se manca, Pier Paolo Pasolini. Più delle sue opere, resta attuale la polemica che conduceva con il Potere. Non abbiamo avuto più figure di intellettuali slegati dalle parrocchie di sinistra o del mondo clericale. Il lampo luminoso di Pasolini è il suo essere un intellettuale libero”: un dialogo sull’autore degli “Scritti corsari” ha offerto l’occasione a Gennaro Nunziante per sottolineare lo strisciante conformismo imperante nel dibattito pubblico italiano. Nel chiostro del convento domenicano di Ruvo di Puglia il regista barese si è confrontato sul “Vangelo” pasoliniano con Gianni Canova, direttore della rivista “8 e 1/2”, introdotto sul palco da Cesare Veronico, presidente del Parco dell’Alta Murgia.
“Mi sono avvicinato a Pasolini da ragazzo – ha raccontato Nunziante – leggendo i suoi articoli sul Corriere della Sera. Ho amato prima il Pasolini scrittore e solo dopo il cineasta”. La visione de “Il Vangelo secondo Matteo” di Pasolini consente di riscoprire la Weltanschauung del grande poeta: “Scelse l’opera dell’evangelista Matteo perché gli parve quella più realista e più rivoluzionaria, ma il film non richiama la fede. E’ una storia materialista. La figura del suo Cristo non rappresenta il figlio di Dio. Il protagonista è umano, animato da una “voglia di sapere” che lo spinge alla morte”. Una mostra di fotografie scattate nel 1964, durante le dodici settimane di lavorazione del “Vangelo”, affresca i muri del convento, esaltando il paesaggio che offrì la location alla narrazione. “Voleva girarlo in Terra Santa – ha aggiunto Nunziante – ma quando PPP arrivò qui, immaginò l’assonanza tra il nostro Sud e il meridione del mondo, esaltando il Mezzogiorno come civiltà incontaminata”. Per Gianni Canova l’opera pasoliniana ha la forza di tutti i capolavori inattuali, “consente di scoprire la dimensione antropologica di un’italia che non c’è più. Il “Vangelo” incarna la straordinaria contraddittorietà di Pasolini: laico, marxista, non credente, si misura con il testo sacro per eccellenza…”. E la performance di mezzo secolo fa non ha paragoni con recenti remake: “Non prendo nemmeno in considerazione “La passione di Cristo”. Mel Gibson sta a Pasolini, come Berlusconi alla verginità”, ha chiosato con una battuta Canova.
Nunziante nell’incontro ha ricostruito alcuni aneddoti legati al film, la soggezione e l’interazione di PPP con il produttore Alfredo Bini, “in grado riportarlo sulla terra” e allo stesso tempo di concedergli “un tempo immenso per girare”. Il regista di “Sole a catinelle” non ha mai trasferito le proprie suggestioni pasoliniane nei suoi lavori: “Sono più legato a Ennio Flaiano e alla commedia italiana, ma di certo ci sono legami, anche inconsci, con la poetica dell’autore delle “Lettere luterane””. Luca Medici, in arte Checco Zalone, sarebbe piaciuto a Pasolini? Nunziante ha sorriso alla nostra domanda: “Senza dubbio come attore e maschera popolare sarebbe piaciuto a Pasolini. Ma poi bisognava spiegarlo a Luca…”. (dal Corriere del Mezzogiorno)