Fine primo tempo. Chiude il Sinodo straordinario sulla Famiglia. Tutti a casa, per ora. L’appuntamento è per il prossimo autunno. Nei prossimi dodici mesi, i padri dovranno riflettere sul documento finale approvato ieri. Una Relatio che non scontenta nessuno. Né progressisti, né conservatori e né ovviamente Papa Francesco. Proprio lui, infatti, sembra aver apprezzato un dibattito che, per quanto aspro, si è distinto per franchezza e realtà. In mezzo alla due settimane di lavoro, c’è l’incidente della Relatio post disceptationem firmata dal cardinale Péter Erdő, arcivescovo di Esztergom-Budapest. Lo stesso principe di santa romana Chiesa che ha dovuto disconoscere la paternità di almeno due passaggi. Costringendo la sala stampa vaticana a chiarire che si trattava di soltanto di «un documento di lavoro, che riassume gli interventi e il dibattito della prima settimana».
IL CONTRASTO
Nel dettaglio si tratta dei punti che trattano di omosessualità, divorziati-risposati e coppie di fatto. Quelli roventi, ovvero. L’autore sembra essere il teologo Bruno Forte, titolare della diocesi di Vasto-Chieti e segretario speciale del sinodo per volontà di Francesco. Il paragrafo 36 recita: «Una sensibilità nuova della pastorale odierna, consiste nel cogliere la realtà positiva dei matrimoni civili e, fatte le debite differenze, delle convivenze». Al 50 si legge: « Le persone omosessuali hanno doti e qualità da offrire alla comunità cristiana: siamo in grado di accogliere queste persone, garantendo loro uno spazio di fraternità nelle nostre comunità?».
Dura la reazione di parte dei vescovi. Il sudafricano Napier via Twitter denuncia: «Alcuni elementi [del sinodo] stanno cercando di adeguarsi all’opinione del mondo, la maggioranza vuole restare fermamente con la verità».
Il vaticanista Marco Ansaldo de La Stampa è ancora più tagliente: «La cupola sinodale (cdr) ha deciso di non rendere pubblici gli interventi dei partecipanti, contro una prassi decennale, la trasparenza e il diritto dei cristiani a sapere; e poi ha deciso di rendere pubblico un documento di lavoro in cui moltissimi non si riconoscono, e in cui le frasi più discutibili e discusse sono con grande probabilità l’espressione di pochi teologi e vescovi».
IL SINODO BOCCIA LE APERTURE
Sugli stessi temi la Relatio conclusiva ha però toni ben diversi. E nonostante ciò , i tre singoli paragrafi del contendere, non hanno ottenuto i placet sufficienti – due terzi – per l’approvazione. La novità assoluta è che il Papa ha voluto che la sala stampa pubblicasse i dati delle votazioni, addirittura “sezione per sezione”, per dirla in politichese. Un’operazione trasparenza che però non permettere di comprendere se tra i non placet ci siano quelli degli aperturisti, degli intransigenti o di entrambi i partiti.
Sulla comunione ai divorziati risposati. Paragrafo 52. «Si è riflettuto sulla possibilità che i divorziati e risposati accedano ai sacramenti della Penitenza e dell’Eucaristia. Diversi Padri sinodali hanno insistito a favore della disciplina attuale, in forza del rapporto costitutivo fra la partecipazione all’Eucaristia e la comunione con la Chiesa ed il suo insegnamento sul matrimonio indissolubile. Altri si sono espressi per un’accoglienza non generalizzata alla mensa eucaristica, in alcune situazioni particolari ed a condizioni ben precise, soprattutto quando si tratta di casi irreversibili e legati ad obblighi morali verso i figli che verrebbero a subire sofferenze ingiuste. L’eventuale accesso ai sacramenti dovrebbe essere preceduto da un cammino penitenziale sotto la responsabilità del Vescovo diocesano. Va ancora approfondita la questione, tenendo ben presente la distinzione tra situazione oggettiva di peccato e circostanze attenuanti, dato che “l’imputabilità e la responsabilità di un’azione possono essere sminuite o annullate” da diversi “fattori psichici oppure sociali” (Catechismo della Chiesa Cattolica, 1735)».I Placet sono 104, i Non placet 74.
Sempre sullo stesso tema. Al paragrafo 53. «Alcuni Padri hanno sostenuto che le persone divorziate e risposate o conviventi possono ricorrere fruttuosamente alla comunione spirituale. Altri Padri si sono domandati perché allora non possano accedere a quella sacramentale. Viene quindi sollecitato un approfondimento della tematica in grado di far emergere la peculiarità delle due forme e la loro connessione con la teologia del matrimonio». I Non placet sono 64 contro 112.
Sugli omosessuali. Il paragrafo 55. «Alcune famiglie vivono l’esperienza di avere al loro interno persone con orientamento omosessuale. Al riguardo ci si è interrogati su quale attenzione pastorale sia opportuna di fronte a questa situazione riferendosi a quanto insegna la Chiesa: “Non esiste fondamento alcuno per assimilare o stabilire analogie, neppure remote, tra le unioni omosessuali e il disegno di Dio sul matrimonio e la famiglia”. Nondimeno, gli uomini e le donne con tendenze omosessuali devono essere accolti con rispetto e delicatezza. “A loro riguardo si eviterà ogni marchio di ingiusta discriminazione” (Congregazione per la Dottrina della Fede, Considerazioni circa i progetti di riconoscimento legale delle unioni tra persone omosessuali, 4)».Placet 118, contro 62.
LA SODDISFAZIONE DEL PAPA E “DEL RE”.
Nel discorso conclusivo Francesco, nonostante le contrapposizioni, benedice il clima dialogante: «Personalmente mi sarei molto preoccupato e rattristato se non ci fossero queste animate discussioni; questo movimento degli spiriti, come lo chiamava Sant’Ignazio (EE, 6) se tutti fossero stati d’accordo o taciturni in una falsa e quietista pace. Invece ho visto e ho ascoltato – con gioia e riconoscenza – discorsi e interventi pieni di fede, di zelo pastorale e dottrinale, di saggezza, di franchezza, di coraggio e di parresia. E ho sentito che è stato messo davanti ai propri occhi il bene della Chiesa, delle famiglie e la suprema lex, la salus animarum».
Rivolgendosi ai vescovi, infine, ha ribadito le prerogative del suo ruolo e della sua missione universale. «Quindi, la Chiesa è di Cristo – è la Sua Sposa – e tutti i vescovi, in comunione con il Successore di Pietro, hanno il compito e il dovere di custodirla e di servirla, non come padroni ma come servitori. Il Papa, in questo contesto, non è il signore supremo ma piuttosto il supremo servitore – il “servus servorum Dei”; il garante dell’ubbidienza e della conformità della Chiesa alla volontà di Dio, al Vangelo di Cristo e alla Tradizione della Chiesa, mettendo da parte ogni arbitrio personale, pur essendo – per volontà di Cristo stesso – il “Pastore e Dottore supremo di tutti i fedeli” e pur godendo “della potestà ordinaria che è suprema, piena, immediata e universale nella Chiesa”».