Da amante ad accusatore, Pietrangelo Buttafuoco mette in pratica la lezione di Christopher Hitchens, scrivendo “Buttanissima Sicilia. Dall’autonomia a Crocetta, tutta una rovina” (Bompiani). Fa i conti con quello che più ama – la sua Sicilia – senza nessuna ipocrisia, con una lucidità sciasciana, che può piacere o meno, ma c’è – una stranizza d’amuri – che raccoglie il peggio e il meglio dell’isola, non risparmia nessuno con un linguaggio diretto mai mediato, mai ridondante, più che un libro è un una tempesta che attraversa città e vite dei protagonisti della storia politica siciliana degli ultimi anni.
Racconta l’autonomia come colpa, acqua che nutre il peggio, dove il peggio è la mafia. Chiede un commissario dello Stato al posto del governatore Rosario Crocetta, autore e protagonista della peggiore stagione politica siciliana (“da opera dei pupi a quella dei puppi”). Abrogazione dello statuto speciale – privilegio divenuto prigione – figlia dell’Evis, esercito volontario degli indipendentisti, fortemente inquinato dai mafiosi. Si rivolge a Renzi, a Grillo, cerca un volontario capace di sposare la sua tesi, di esaudire il suo desiderio, e mentre invoca e cerca compagni di viaggio, complici di una riforma, descrive lo stato delle cose, disegna un percorso a tratti utopico ma lo fa con una tale carica d’amore pazzo e con una scrittura così precisa che qualunque lettore potrebbe andargli dietro, magari per scoprire che pensa dei molti personaggi che “invece di governare declamano”, su tutti Crocetta. “Pokemon invincibile. Eroe dell’antimafia” che fa “dell’antimafia un automatismo” che “se ne partì per combattere la mafia e risultò che la sfasciò tutta l’antimafia”, che caccia Battiato per piazzare la sua segretaria, che nomina assessori delle madamine, che nomina l’escluso Ingroia e a sua volta è nominato, supportato da un Mastro don Gesualdo attaccato alla roba della politica con un patrimonio clientelare enorme: Raffaele Lombardo. Che usa l’omosessualità come difesa a dispetto del suo essere “privilegio degli dèi” secondo le parole di Giò Stajano.
La tempesta di Buttafuoco è anche piena di letteratura, dall’analisi della lingua di Crocetta che ruota tutta attorno alla presunzione, dall’antologia di storie e scrittori usata a supporto dei personaggi e dei luoghi, da Pirandello a Tomasi di Lampedusa, Piero Grasso che si fa metodo (è un romanzo da scrivere: L’annacamento) e persino delle occasioni mancate: come l’aeroporto di Comiso che invece di portare il nome di Gesualdo Bufalino porta quello di Pio La Torre.
Ha avuto molto coraggio Buttafuoco a farsi carico di raccontare e giudicare quella che è stata l’antimafia del dopo Falcone-Borsellino – “Due sono i tipi di mafia: la mafia e la mafia dell’antimafia” – l’isola che non ha più partiti ma solo padroni, il posto dello sperpero culturale ed economico, del consumo esagerato di territorio e vite, delle declinazioni egoistiche, dove tutto ruota attorno alla sinistra perché la destra non c’è, sembra un paradosso e forse lo è, fabbricato anche questo dal marketing – di Klaus Davi – che sostituisce il pensiero politico. Promettendo di redimersi la Sicilia continua a sprofondare, annunciando di riemergere in realtà restaura di continuo lo stesso peccato: quello imperdonabile di non amarsi. Fino al grande paradosso: “Ogni volta che passo davanti ai cancelli di Rebibbia, a Roma, la casa circondariale dove è detenuto Cuffaro, mi ritrovo a gridare: “Scusa, Totò”. E la Sicilia, oggi, non è neppure più quella dei cannoli ma qualcosa di peggio: ci vuole l’antitetanica a districarsi tra le vicende siciliane”. Tetano che avvelena e distrugge, lentamente.
Nuovo scrittore siciliano
Buttafuoco con questo libro-tempesta, che salva Leoluca Orlando, Mirello Crisafulli, Pif e pochi altri, diventa anche il nuovo scrittore siciliano, la vera voce capace di dire la realtà a dispetto del calcolo, esce dalla teatralizzazione e dalla personificazione: dalle città ai trasposti, e si fa vento che spazza via tutto, forse non servirà a niente il suo libro (in Sicilia, tra le altre cose, si legge pochissimo) ma Buttafuoco ha ironia sufficiente per amare le cose fatte per la bellezza di farle e non per ottenere successo o vincere.
La sua tempesta è la possibilità offerta all’isola, è la testimonianza che c’è altro (persino dalla colonizzazione americana: ratificata col Muos di Niscemi), e nell’invocazione centralista del commissariamento c’è anche il ritorno a casa della Sicilia, figliol prodiga, “fogna del potere”, dove ora non c’è più niente nemmeno la Fiat, lasciata libera di sbagliare e cercare, innamorarsi e dimenticare, andarsene e, infine, tornare. (da Il Messaggero)