Lo ricorderemo solo per la maglia della salute sotto la camicia, non certo per la coerenza e men che meno per i risultati raggiunti nella tutela dei lavoratori. Il segretario della Fiom Maurizio Landini nelle ultime ore è insorto contro il “Jobs act” di Matteo Renzi, preannunciando l’occupazione delle fabbriche. L’ha sparata grossa e per questo basta la vignetta di Alfio Krancic come risposta.
Sulla debole opposizione sociale al governo dell’ex sindaco di Firenze, invece, il discorso è ben più scivoloso: il leader dei metalmeccanici della Cgil nei mesi scorsi si era distinto per sorrisi, sms e ammiccamenti al nuovo premier, chissà in cambio di quali aperture o promesse. Salvo adesso fare dietrofront con proclami vecchio stile di scarsa credibilità.
Landini risulta almeno volubile (per usare un eufemismo), un burocrate sindacale che si esprime in un italiano vetusto, e rappresenta un mondo che non c’è più perché disintegrato dalla globalizzazione che tanto piace alla sinistra internazionalista: lo strappo renziano è senza dubbio uno smacco ai riti della concertazione che hanno caratterizzato sia la Prima che la Seconda Repubblica, ma soprattutto segna l’incapacità dei sindacati di incidere nel dibattito sociale, se non con proposte di retroguardia o conservative.
L‘ipocrisia di Renzi va di pari passo con quella del sindacalista con la maglia di lana: spaccia per “sguardo al futuro” la cancellazione di diritti dei lavoratori che sono ormai il dna distintivo della tradizione giuslavoristica italiana. Don Matteo, mero esecutore delle direttive degli eurotecnocrati, ci risparmi la boutade di difendere i lavoratori cancellando diritti contrattuali già riconosciuti, in nome di fantomatiche nuove assunzioni…
Sulle stesse posizioni di Renzi sono anche il Nuovo centrodestra e l’ala confindustriale di Forza Italia, mentre la debole sinistra Pd alla fine si allineerà ai diktat del premier.
Lo spazio per una opposizione sociale, in Italia, c’è ma viene sfruttato male da chi dovrebbe invece cogliere l’opportunità per costruire una alternativa calibrata proprio sui temi del lavoro, dell’occupazione e dell’innovazione (soprattutto nell’industria). Eppure le università italiane sono piene di studiosi e ricercatori che elaborano soluzioni giuslavoristiche di impronta sociale, sempre inascoltati dai politici.
Veterosinistra e destra patriottarda sono rimaste indietro, risultando marginali in questo dibattito. Il tempo liquido che stiamo vivendo non si può decifrare con categorie vecchie di ormai almeno tre decenni e per questo Renzi, con la flebile opposizione di Landini, può maramaldeggiare con una discutibile legge delega sul Lavoro, una volta elemento fondante della civiltà italiana. Quando aspirava ad essere universale…