Appunti e pensieri sparsi, spesso scritti di notte, di getto, poi pubblicati per pochi lettori sull’Avanti!o su Critica sociale. Una sorta di testamento di idee lasciato da Bettino Craxi, nell’ultimo periodo della sua vita vissuto ad Hammamet. In quella fase quei suoi scritti, le sue lettere, i suoi fax che giungevano nelle redazioni di molti giornali «erano elemento di disturbo e finivano nei cestini dei direttori». Stefania Craxi non ha desistito, ha messo insieme quei pensieri, ha raccolto i manoscritti del padre degli anni tra il 1994 e il 2000, definiti come gli anni dell’«esilio tunisino», in un volume dal titolo emblematico, Io parlo e continuerò a parlare (a cura di Andrea Spiri, Mondadori, pp. 264, euro 18).
Cosa c’è dentro questi appunti, poco conosciuti al grande pubblico, cui è stata data forma di libro?
«Quello che potrebbe apparire come un libro di memorie è in realtà un libro di attualità politica. Molte delle cose dette da Bettino Craxi allora si stanno verificando oggi. In questi scritti emerge comunque grande dolore: Craxi ha una storia spesa per il bene del suo Paese, ed è morto in esilio per ingiustizia. Emerge una forte nostalgia per il suo Paese».
Quando e perché ha pensato di raccogliere questi scritti e renderli pubblici?
«Mio padre non ci aveva mai pensato. Io, anni dopo, ho creato l’archivio Craxi che è stato dichiarato patrimonio storico. Abbiamo raccolto i suoi scritti, pensieri del mattino o reazioni a tormenti notturni. Ci sono i commenti ai fatti di giornata degli anni tra il ’94 e il 2000 perché un compagno socialista si preoccupava di fargli pervenire la rassegna stampa. Ci sono i commenti sulla presunta, ma mai esistita, Seconda repubblica. Ho fatto tutto questo perché in uno dei suoi scritti lessi la frase: “La battaglia della storia non gliela faccio vincere”. E poi: “Io parlo e continuerò a parlare”, che dà il titolo al libro».
Sorprendono alcune previsioni di Bettino Craxi su alcuni effetti che l’adesione all’Europa avrebbe avuto sul nostro Paese.
«Come ogni politico vero Craxi aveva capacità di immaginare il futuro: aveva visto gli effetti che la finanza avrebbe avuto sulla politica e sulla nostra democrazia, rimasta tale solo a parole. C’era la convinzione che, qualora non fossero stati ridiscussi i parametri di Maastricht, l’Italia si sarebbe trovata tutt’altro che in paradiso, probabilmente in un limbo. Forse all’inferno: mi pare che abbia indovinato».
Facciamo un passo indietro. Non sono poche le pagine dedicate ad alcuni misteri d’Italia: Moro, le Brigate Rosse, l’enigma del covo di via Gradoli.
«Craxi si fa domande, non ha risposte. Ma quando chiama in causa i servizi segreti sul covo di via Gradoliimplicitamente indica una risposta sugli ultimi giorni di Moro».
Nonostante a Craxi vadano dati sei meriti sulla fine dell’emarginazione del Msi e della destra politica nello scenario italiano, ci sono dei giudizi netti su Gianfranco Fini. Prevede lo strappo con Berlusconi con quindici anni di anticipo.
«Leggeva la politica con occhio scevro da pregiudizi. Evidentemente deve avere intercettato nei comportamenti di Fini elementi che lo lasciarono perplesso».
Tante le previsioni riuscite. Vanno attribuite all’abilità e all’esperienza dell’uomo politico Bettino Craxi o, più semplicemente, alcune cose erano già allora sotto gli occhi di tutti?
«Un po’ tutte e due le cose: da un lato sono indiscutibili le esperienze dell’uomo politico. Vero è che ai tempi di Craxi si diventava deputati a 30 anni, come che si proveniva da quindici anni di militanza nei partiti. Vero è anche che alcune cose erano sotto gli occhi di tutti. Ma spesso gli italiani preferiscono non vedere: più facile cercare i capri espiatori, i colpevoli». (da Il Giornale di Sicilia)