E se fosse Nichi Vendola a lanciare la carica contro la riforma dell’Articolo 18 e i contorni di un Job Act ancora tutto da stilare? È infatti il presidente della regione Puglia a soffiare sul conflitto in atto tra Matteo Renzi e i sindacati da un lato e la sinistra Pd dall’altra. «È una vergogna ed è uno scandalo. Il presidente del Consiglio non ha nessuna idea precisa di lotta alla precarietà. Semplicemente una indicazione retorica affinché si possa coprire l’oggetto vero di ciò che si sta facendo: si sta portando a compimento il processo di precarizzazione globale del mercato del lavoro». Così il leader di Sel, parlando ieri a Bari con i giornalisti.
Un’entrata a gamba tesa. Ma anche un sponda extra democratica ai malumori della minoranza guidata del trio D’Alema, Cuperlo e Bersani. Sui temi del lavoro, a sinistra, si gioca infatti una partita nella partita in cui Vendola intende giocare all’attacco: costruire l’alternativa rossa al nuovo corso renziano. «Ci sono premi Nobel per l’economia – ha proseguito il presidente della Puglia – che irridono questa la frottola che la precarizzazione porti lavoro. E in Italia, sotto una nube tossica di propaganda e demagogia, per una scelta che io considero scandalosa, si consegna lo scalpo di ciò che resta della civiltà del lavoro».
Insomma, l’ipotesi di uno strappo nel Pd, rischia di essere pietanza saporita per un Vendola chiamato a ritagliarsi un futuro politico. Il mandato presidenziale in Puglia è già all’ultimo giro di boa. Intanto, il leader di Sel, fresco di una scissione al suo interno, si appella al cuore dei militanti, rispolverando il linguaggio e la retorica di una conflittualità politica e sociale vecchia di cent’anni. «Se il lavoro torna a essere merce, e il lavoratore o la lavoratrice ricattabili – ha detto – allora vuol dire che stiamo facendo una grande innovazione, ma con la testa rivolta all’Ottocento». Un’uscita, dunque, che fa il paio con la prima pagina del Manifesto di ieri. Il titolo è “La voce del Padrone”. Il riferimento è ad un accigliato Matteo Renzi che richiama all’ordine i componenti della direzione nazionale democratica.