“Le polemiche sui voli a bassa quota ci sono sempre state e sempre ci saranno, almeno in Italia. Le tragedie, purtroppo, esistono, sebbene nella stragrande maggioranza dei casi negli anni abbiano coinvolto solo il pilota, o l’equipaggio”. Così il generale Mario Arpino* risponde ad una nostra domanda in merito all’incidente aereo di Ascoli Piceno che, lo scorso agosto, ha causato la morte di quattro ufficiali piloti dell’Aeronautica Militare.
Le domande che rivolgiamo al comandante, però, non si limitano allo scontro tra i Tornado, lambendo invece anche il coinvolgimento italiano nella guerra contro il Califfato islamico.
Tragedia di Ascoli, dopo un mese indagini ancora in corso. In base alla sua esperienza, cosa potrebbe essere successo?
“E’ vero, le indagini sono ancora in corso. Si tratta di inchieste lunghe, complesse e difficili, che coinvolgono vari organi e Istituzioni dello Stato. A volte vengono interessati anche organi o enti non nazionali, qualora particolari analisi tecniche su componenti del velivolo prodotte all’estero lo richiedano. Alcune vengono svolte separatamente. Per esempio, l’Autorità Giudiziaria indaga per capire “di chi è la colpa”, mentre l’Ispettorato per la Sicurezza del Volo dell’Aeronautica si concentra sul voler capire, ai fini di prevenzione, “perché è successo”. Qualora gli Organi dello Stato collaborino, magari utilizzando il medesimo collegio peritale, i tempi si possono anche accorciare. Ma ad allungarli possono intervenire altri fattori, come società di assicurazioni, privati cittadini, perturbazioni di carattere politico-ideologico, ed altri ancora. Oggetto dell’indagine sono sempre l’uomo, la macchina e l’ambiente: a questa terna non si sfugge, perché la verità non può emergere da nessun tipo di congettura formulata magari da persone esperte, ma esterne ai fatti. E’ per questo che, fino a che le indagini sono in corso, è solo fuorviante pronunciarsi in giudizi, supposizioni o illazioni, sempre legittime nello stretto ambito del privato, ma sempre dannose quando espresse in pubblico”.
Lo scontro dei due Tornado ha riacceso le polemiche sui voli a bassa quota. Cosa ne pensa?
“Le polemiche sui voli a bassa quota ci sono sempre state e sempre ci saranno, almeno in Italia. Le tragedie, purtroppo, esistono, sebbene nella stragrande maggioranza dei casi negli anni abbiano coinvolto solo il pilota, o l’equipaggio. In questi casi, la risonanza dell’evento si avvicina allo zero. Oggi questi eventi sono molto rari, perché complessivamente si vola molto di meno e la tecnologia consente tattiche alternative. L’obiettivo, forse utopistico, resta quello di zero-incidenti. Ciononostante, vi sono condizioni operative, non più frequenti, nelle quali è ancora necessario volare a bassa quota. Per imparare a farlo, non c’è altra via che l’addestramento, dove i più avanzati simulatori di volo suppliscono in una certa misura. Ai tempi della guerra fredda, quando era necessario allenarsi a volare bassissimi per passare “sotto la cortina” di giorno, di notte, in qualsiasi condizione di tempo e in qualsivoglia ambiente orografico, questo tipo di incidente era frequente sia in Italia, sia all’estero. Le proteste erano non solo verso i sorvoli, ma anche contro il rumore. Con la differenza che in Italia si dava voce a chi fantasticava di galline che smettevano di fare le uova o “le facevano quadrate”, mentre in Germania, dove il “nemico” era appena oltre il muro, si diceva con rassegnazione noise of jets, noise of freedom (rumore di aviogetti, rumore di libertà). Le regole e le direttive ci sono, e sono severe: dopo la guerra fredda e l’episodio del Cermis le quote minime sono state elevate di parecchio. Le regole militari per il sorvolo degli abitati (sempre da evitare) sono ancora più severe di quelle previste dal codice civile della navigazione. Solo che, prima che venissero falcidiati i fondi per l’addestramento dei piloti militari, la maggior parte di queste esercitazioni si facevano nelle lande spopolate del Galles e della Scozia, a Goose Bay nell’isola di Terranova, in Canada e sui deserti dell’Arizona”.
L’anzianità dei velivoli Panavia potrebbe aver influito sull’incidente?
“Non lo so, lo dirà l’esito dell’inchiesta. Quello di cui però sono certo, e questo sì deriva da un esperienza piuttosto lunga, è che se l’Aeronautica Militare decide di far volare un aereo, qualsiasi aereo, è perché è certa che ha un’assoluta idoneità al volo (air worthness). Se ci sono dubbi, anche remoti, resta a terra. Garantito”.
Nel caso in cui la nostra partecipazione alla guerra contro l’ISIS dovesse imporre un coinvolgimento italiano più consistente in termini di armi e mezzi, l’attuale flotta dell’AM sarebbe in grado di reggere lo sforzo bellico?
“Non penso che accadrà, ma nella misura in cui lo fa la Francia, ovvero per piccoli numeri, riterrei proprio di sì. Ne sono riprova l’attività svolta in Afghanistan con Tornado, AMX, elicotteri, trasporti e Predator. O quella svolta sulla Libia, che è stata notevole ed effettuata esclusivamente con armamento di precisione moderno, sicuro ed efficace. Certo, la flotta dei cacciabombardieri-ricognitori si riduce ogni giorno di più e il momento della totale radiazione si sta avvicinando. Ma gli aerei che vengono impiegati sono mantenuti continuamente aggiornati allo stato dell’arte. Sono ormai pochi, è vero, ma quei pochi nel corso delle operazioni complesse sono perfettamente in grado di integrarsi con quelli alleati sia in termini di sistema d’arma, sia di professionalità degli equipaggi. Tuttavia, senza importanti interventi risolutivi volti a una progressiva sostituzione, tutto ciò è destinato ad esaurirsi nel giro di pochi anni”.
*Ex Capo di Stato Maggiore della Difesa, ufficiale pilota dell’Aeronautica Militare in congedo. Opinionista de Il Resto del Carlino e analista di Affari Internazionali